La brontologia

Esiste un ramo della filosofia che si occupa dell’essere in quanto essere. Che brontola. È la brontologia, su cui gli storici della filosofia continuano a litigare. Infatti alcuni, la maggioranza, ne attribuiscono la nascita a Santippe, moglie di Socrate e notoria fracassamaroni. Altri, che fanno capo alla mia corrente, ritengono che il legittimo fondatore sia stato l’Ambrogio Brambilla Rovati, un pensionato che, dalla panchina del parco Guido Vergani su cui sostava tutto il giorno, aveva fatto del brontolio un vero e proprio stile di vita, dispensando le sue lamentele a chiunque si trovasse nei paraggi.

La brontologia non risponde a nessuna domanda, ma si lamenta di temi universali su cui le menti più brillanti (e meno) si cimentano da anni. Perché l’essere piuttosto che il nulla e, soprattutto, perché non mi lascia dormire la notte con il suo fastidioso ronzio? Come mai supercalifragilistichespiralidoso, letto al contrario, non significa niente? Maledizione! L’idea di pizza in sé farcita con dell’ananas è un disturbo alimentare o psichiatrico? Che cos’è l’altro da me e perché si scopa mia moglie? Piove, governo ladro!

Nel ventesimo secolo numerosi filosofi analitici hanno approfondito e ampliato gli studi sull’argomento. Ricordiamo Wittgenstein, famoso per il suo ‘Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere’. Analizzato per decenni, si scoprì che in realtà era un semplice brontolio di risposta a secoli di tradizione metafisica che gli avevano procurato fastidiosi disturbi gastrointestinali.