Nel 1827 il chimico inglese John Walker, con una miscela di clorato potassico, solfuro di antimonio, amido, gomma e un pizzico di ‘nduja, inventò il primo fiammifero. Solo che, bruciando, puzzava come l’Armando, il fidanzato di mia cugina, che per evitare lo spreco d’acqua si limita a una sola doccia al mese. Salverà l’ambiente ma è impossibile stargli a meno di un paio di metri di distanza.
Nel 1830 il chimico francese Charles Sauria sostituì l’antimonio con la forfora. La miscela non produsse niente e il chimico ci rimase molto male, finendo rinchiuso in una clinica specializzata proprio nella cura di quella fastidiosa malattia del cuoio capelluto.
Uscito, si accorse di aver commesso un clamoroso errore ortografico. Non era forfora, ma fosforo. Fosforo bianco. Il fiammifero, così come lo conosciamo noi, piccolo, spigliato, con la calotta rossa e quell’aria birichina, era finalmente venuto al mondo.
Da sempre il fiammifero crea divisioni nella società. Da un lato i detrattori, che lo ritengono pericoloso almeno quanto il parmigiano sopra gli spaghetti allo scoglio. Dall’altro i suoi sostenitori, per i quali è importante almeno come l’invenzione del telecomando.
L’immissione nel mercato del fiammifero provocò una vera e propria rivoluzione copernicana. Fino ad allora, infatti, il fumo era un’attività per intenditori, gente con i denti color cuoio che amava masticare il tabacco, bere rum e sputare per terra, anche a casa loro.
Grazie ai cerini, milioni di persone scoprirono il piacere di fumarsi una sigaretta senza dover ricorrere alle pietre focaie, che a volte richiedevano giorni prima di produrre una labile fiammella.
Anche l’attività di piromane conobbe una forte espansione: cestini, boschi, case, appartamenti, ceri da chiesa, finalmente gli incendiari di professione potevano sfogare i loro impulsi e dare lavoro a centinaia di vigili del fuoco.
Ci furono anche dei risvolti negativi. Per esempio, nel 2006, Gregorio Speck, rientrando a casa dopo una serata passata a ballare musica dodecafonica, fu avvicinato da un gruppetto di tre balordi che indossavano la maschera della formica atomica. “C’hai da accendere”, gli chiese uno dei tre, oltrepassando la distanza di sicurezza.
Gregorio, tabagista incallito, aveva risposto con un rantolo da fumatore che nessuno era riuscito a capire ma che era stato interpretato come una provocazione dadaista. I tre manigoldi gli erano saltati addosso e a suon di ceffoni lo avevano pettinato stile Beatles anni Sessanta, frangia e caschetto sbarazzino.
Il governo, con un decreto-legge, decise che, per evitare problemi di questo tipo, sarebbe stato obbligatorio girare sempre con dei fiammiferi in tasca. Il presidente della Repubblica giudicò la legge una enorme minchiata e fece sostituire, nel testo del decreto, i fiammiferi con l’accendino. Nella vita, la praticità è tutto.