L’estrazione dell’Otto

Otto era un simpatico ragazzino di quarantacinque anni che viveva con la sua mamma e il suo papà in un piccolo appartamento al quarto piano di un edificio di tre piani. A causa della metropolitana, lo stabile era piuttosto instabile, ma l’amministratore aveva rassicurato i condomini dicendo che ‘in caso di crollo, sarete tutti risarciti’.

La mamma di Otto, la signora Prima, aveva iniziato a bere da quando aveva scoperto che il piuttosto che non ha valore disgiuntivo e quindi non è un sostituto della o. Le vibrazioni causate dalla metropolitana la aiutavano a sopportare meglio i tremori nei momenti di sobrietà.

Il padre di Otto, il signor Settimo, dopo una vita passata a testare materassi, passava le sue giornate ai cantieri, ad elargire preziosi consigli insieme a centinaia di altri pensionati, tutti esperti di lavori edili.

Nonostante le basi solide, Otto era ludopatico. E ossessionato dai numeri. Tutti i giorni, alle quattro in punto del pomeriggio, prendeva una delle sedie pieghevoli della cucina, la sistemava sul balcone e, dopo essersi accomodato, iniziava la sua ora di annunciazione.

Quarantaquattro, le gambe dell’ornitorinco, urlava. Sotto, un folto gruppo di persone si radunava quotidianamente, in trepidante attesa. Diciotto, in cucina a fare il risotto. Ambo!, ululava qualcuno, sventolando quello che sembrava un calendario dell’Avvento. Tombola, sbraitava sempre la signora Ughetta, che non aveva mai capito le regole del gioco. Alle cinque spaccate Otto si alzava, piegava la sedia e rientrava in casa. Il capannello di gente si scioglieva e ognuno tornava alle faccende quotidiane.

Era capitato, nel passato, che sopraggiungesse una macchina dei carabinieri, chiamata dal conte Ubaldo Tasso della Brocca, che riteneva indegno lo spettacolo che gli toccava assistere dalla finestra di camera sua. Entrambe le volte i carabinieri, che non erano sicuri di quale reato si stesse trattando, erano riusciti a portarsi a casa una cinquina e così il conte aveva smesso di chiamare il centododici.

Quando il sipario calava, Otto si chiudeva in camera sua e iniziava a contare, spesso iniziando da dove si era interrotto il giorno prima, nella speranza di imbattersi in un numero che non era ancora stato scoperto. Per esempio, una volta era arrivato al numero duemilamiliardisettecentocinquantamilioniquattrocerntotrentamilaottocentocinquantuno che era un numero che era quasi sicuro di non aver mai sentito da nessuna parte.

Per assicurarsene, lo aveva ripetuto davanti alla madre, che però, a metà, si era addormentata. L’ufficio brevetti gli aveva poi dato conferma che il numero in questione faceva parte dei numeri naturali, che sono infiniti; quindi, era inutile perdere tempo a cercarne dei nuovi. Otto, però, che era un ragazzone testardo, aveva ricominciato subito l’enumerazione, convinto che all’ufficio brevetti fossero tutti scimuniti.

La vita procedeva monotona e tranquilla, fino a quel lunedì in mezzo alla settimana, che infatti si scoprì poi essere un mercoledì. Alle quattro in punto Otto aprì la portafinestra che dava sul piccolo balcone. Aprì la sedia pieghevole, ci si sedette sopra, diede un’occhiata fuggevole alle persone che si erano assembrate sul marciapiede e partì con la declamazione.

Settantasette, sette sette, le sopracciglia della Luigia. Dodici, il piffero. Ventitré, gli anni di mia nonna. Terna, si udì, chiaro e forte, anche se suonava sospetto, poiché nessuno aveva ancora rivendicato l’ambo. Novanta, la metà di centottanta. Tombola, strepitò la signora Ughetta, sventolando qualcosa che assomigliava a un fazzoletto. Nessuno le diede retta e si continuò fino alle cinque.

Allo scoccare dell’ora, Otto fece per alzarsi ma qualcosa glielo impedì. Dovete sapere che negli ultimi mesi Otto, oltre che nei numeri, aveva trovato conforto nel cibo. Dieta ipercalorica e poco movimento non sono un binomio perfetto, e Otto aveva iniziato ad espandersi, come l’Universo. Parte della schiena e del suo didietro erano rimaste incastrate nella sedia.

Otto tentò con tutte le sue forze di spingere la sedia all’indietro, ma il suo sedere non si spostò nemmeno di un millimetro. Con una porta finestra che si apriva da un lato solo, Otto non riusciva nemmeno a rientrare in casa. Chiamò, disperato, la madre, che arrivò sorseggiando un qualcosa di liquoroso. La signora Prima, appena vide il figlio, in piedi, con la sedia attaccata al sedere, scoppiò a ridere, poi tornò in camera e si addormentò prima di poter raggiungere il letto.

“Aiuto!”, urlò Otto, anche se la maggior parte delle persone se ne era già andata. “Tombola”, rispose la signora Ughetta. Il conte Ubaldo Tasso della Brocca, che aveva assistito a tutta la scena, chiamò i pompieri. Suonarono alla porta ma non rispose nessuno, così dovettero raggiungere il balcone con l’autoscala.

Un pompiere provò a staccare la sedia dal sedere di Otto, ma era talmente incastrata che ormai ne sembrava quasi un’appendice. A quel punto decisero di caricarlo sull’autoscala e di portarlo giù. Quattro pompieri presero Otto per le braccia, mentre tre impugnarono la sedia e iniziarono a tirare da parti opposte.

Nel frattempo, era sopraggiunto Settimo, il padre di Otto, che si avvicinò al figlio e, con le mani dietro la schiena, si mise a dispensare consigli sul modo migliore per liberare il figlio da quella spiacevole situazione. Tiravano, tiravano e tiravano, ma la sedia e il sedere di Otto sembravano fossero fatti ormai l’una per l’altro.

La scena richiamò un sacco di gente. In pochi minuti un centinaio di individui si ammassarono su un piccolo lembo di marciapiede per cercare di capire che cosa stesse succedendo. Tra vari brusii e mormorii, qualcuno udì qualcun altro dire che si trattava dell’estrazione dell’Otto. “

L’estrazione del Lotto?”, domandò uno dei presenti, e a un certo punto molti tirarono fuori le schedine acquistate dal tabaccaio, mentre i pompieri continuavano a tirare. “Tombola”, sbraitò la signora Ughetta, sventolando la bandiera italiana. Fu proprio allora che i pompieri riuscirono a staccare la sedia dal sedere di Otto, che ruzzolò all’indietro insieme ai quattro pompieri.

“Tombola”, sbraitò la signora Ughetta, appena prima di essere travolta da Otto e dai suoi soccorritori. “Impossibile”, gridarono furibonde alcune persone, e ne scaturì una lite che coinvolse tutto il pubblico presente. Il conte Ubaldo Tasso della Brocca chiamò i carabinieri, che quando sentirono che l’estrazione era già stata fatta, si alterarono parecchio e si lanciarono nella mischia.

La mamma di Otto, che aveva seguito tutto dal balcone, trovò la scena molto divertente. Il marito, incurvato, con le mani dietro alla schiena, continuava a dispensare consigli non richiesti.

Otto urlò, con tutta l’aria che aveva accumulato nei polmoni, “duemilamiliardisettecentocinquantamilioniquattrocerntotrentaseimilanovecentotredici”. Silenzio. Tutti si voltarono in direzione di Otto che pensava, l’ho trovato, il numero, quello che non esiste. Un uomo sulla quarantina fece un passo in avanti e chiese, timidamente, “Ambo?”.

Otto scosse la testa e se ne tornò a casa, sconsolato.