Certo che al giorno d’oggi non si può più essere sicuri di niente. Ultimamente, nel palazzo dove abito, accadono cose strane. A inizio settimana mi telefona il Piero. “Mi hanno rubato l’identità”, mi fa, con un tono così rassegnato che sono andato subito a trovarlo, che se commette una sciocchezza dopo mi rimane sulla coscienza.
Quando mi ha aperto la porta gli ho domandato, “Come l’identità?”. “Eh”, mi ha risposto, facendomi accomodare su una sedia piena di pagliuzze che mi pungevano il sedere. “Zucchero?”, mi ha domandato, porgendomi una tazzina di caffè. “Tre cucchiaini, grazie”, perché il caffè del Piero è amaro come la vita che ci tocca vivere.
“ E quindi?”, cercando di cavarci qualcosa da quella bocca. “Ma no, niente”, ha continuato il Piero, raccontandomi di come la sera prima, mentre dormiva, qualcuno si fosse intrufolato nell’appartamento e gli avesse portato via l’identità. “Ma come?”, gli ho chiesto, perché non ci capivo più nulla. “Eh, era qui, e ora, zac, me l’hanno portata via”.
E adesso non può più chiamarsi Piero, e nemmeno Petonero, che sarebbe il suo cognome, perché qualcuno gli ha rubato l’identità e fino a quando non la ritrovano non se ne può mica andare in giro a chiamarsi Piero Petonero. Così gli hanno detto all’anagrafe, così gli hanno detto alla polizia, e pure io devo smetterla di chiamarlo Piero, almeno fino a quando non la ritrovano, questa benedetta identità.
A me la storia puzzava di strano forte, ma non ero mica lì per giudicare, e nemmeno per bere il suo caffè, che fa schifo forte anche con tre cucchiani di zucchero.
Ci ho pensato tutto il giorno, a questa cosa. Chi se ne va in giro, di notte, a rubare le identità degli altri? Ma saranno mica cose che si fanno? Certo che al giorno d’oggi non si può più essere sicuri di niente.
La mattina dopo mi sveglio con un mal di testa che lo sento fino alla punta dei piedi. Ecco cosa succede a bersi il caffè del Piero. Scendo le scale e incontro la signora Maria Pia Cristofori Colombina.
“Buongiorno signora Maria Pia Cristofori Colombina”, che è un nome molto lungo da pronunciare tutto insieme, e se si va di fretta anche solo un buongiorno basta, non è mica maleducazione. “Signor Rodolfo, signor Rodolfo!”, che sarei io, Rodolfo Bertini, classe 1956, modestamente. “Signor Rodolfo!”, sbiascica la signora Maria Pia Cristofori Colombina. Mi fermo.
La signora Maria Pia Cristofori Colombina scuote sconsolata la testa e si appoggia per un momento al muro e lì ho pensato, non è che mi muore proprio qui, adesso, e non sono nemmeno riuscito a prendermi la brioche alla crema con la spremuta. Invece non muore mica, anzi, mi racconta che lei, quella notte, aveva messo la dentiera nel bicchiere sopra il comodino e, stamattina, quando si è svegliata, zac, la dentiera era sparita. Non è che ho afferrato proprio tutto, perché, senza la benedetta dentiera, le parole se le mangiava tutte. “Come la dentiera?” le domando.
“Eh”, mi risponde, prendendomi sotto braccio, e allora l’ho accompagnata fin su a casa sua, al secondo piano, e lì mi sembra che mi abbia detto, “Entri, che le offro un caffè”, o “Guardi, dopo il due viene il tre”, ma il caffè della signora Maria Pia Cristofori Colombina, in confronto a quello del Piero, è un intruglio che serve a sciogliere la ruggine, e l’Ortensia, che viene a casa sua a fare le pulizie tre volte alla settimana, mi ha detto che saranno almeno cinque anni che la signora Maria Pia Cristofori Colombina non pulisce la macchina del caffè. Ringrazio, ma mi accomiato prima dell’avvelenamento, che mi aspetta la mia spremuta con la brioche, quella alla crema.
“Spremuta e brioche?”, mi domanda il Mario, quando mi vede entrare. Il Mario è un omone grande e grosso, con dei manoni che te lo vedi a scavar buche dentro al cemento, però la voce è piccola piccola, e mi ricorda il suono di un palloncino che si sta sgonfiando.
“Sì, grazie”, e mi siedo dove mi siedo sempre, nell’ultimo tavolo sull’angolo, quello in fondo a destra. Sfoglio il giornale, ma non riesco a concentrarmi perché nella mia testa c’è spazio solo per l’identità del Piero Petonero e per la dentiera della signora Maria Pia Cristofori Colombina. Ma son cose che si fanno?
Non mi ci raccapezzo per niente e penso che al giorno d’oggi non si può più essere sicuri di niente, tranne la spremuta e la brioche del Mario, che sono sempre così buone, e caschi il mondo che rimarranno sempre così, e la vocina del Mario, che caschi il mondo e rimarrà sempre così.
Quando torno a casa, c’è una macchina della polizia con le sirene che lampeggiano, e se ne sta proprio davanti al portone, che a momenti quasi non entro. Mi sono detto, guarda che son venuti qui a riportare l’identità al Piero e la dentiera alla signora Maria Pia Cristofori Colombina, ma quando mi sono avvicinato ho visto la signorina Ottavia Pazienza, nascosta dietro ai due poliziotti con cui stava parlando.
“Buongiorno, Ottavia”, ho salutato, facendo anche un cenno con la testa, e lei ha contraccambiato, “Buongiorno Rodolfo”, però il tono mi sembrava un po’ così, come quando estraggono il biglietto vincente della lotteria e non è mai il tuo e un po’ ci rimani male.
“Come andiamo?” ho aggiunto, che parlando con due poliziotti uno già si aspetta che le cose non stiano poi così a posto, e lei ha iniziato a piangere, al che mi sono preoccupato perché la signorina Ottavia è sempre così sorridente e se inizia a piangere come una fontana, allora vuol dire proprio che le cose non sono a posto affatto.
“Son venuti anche da me. A rubare”, e stavo giusto per chiederle a rubare cosa, ma non c’è stato bisogno, perché ha continuato. “La pazienza. Mi han portato via la pazienza”. “Come la pazienza?”. “Eh”, mi ha risposto, “la pazienza. Mi sono svegliata e avevo già capito, e invece di aspettare un po’, ho chiamato subito la polizia. Se lo immagina?”. Io, di immaginazione, ne ho un bel po’, però non capisco come si faccia a rubare la pazienza, di chiunque. Allora l’ho chiesto ai poliziotti, e loro hanno allargato le braccia, come per dire, “Eh”.
La sera, quando mi infilo sotto le coperte, sono inquieto, penso all’identità del Piero, alla dentiera della signora Maria Pia Cristofori Colombina e alla pazienza della signorina Ottavia, e provo a dormire, ma non ci riesco. Mi giro e mi rigiro dentro le coperte, e alla fine mi sa che mi sono addormentato lo stesso, perché solo se dormi puoi sognare e, strano così, un sogno era tanto che non lo facevo.
Sto pedalando sulla ciclabile della Martesana, e non è che si veda molto, perché c’è una nebbia che si porta via anche il manubrio della bici. Non c’è nessuno, ma vado a sensazione, perché magari qualcuno c’è, ma è inghiottito da tutta quella nebbia. Incomincio a sentire un rumore, come di qualcuno che mastica, ed ecco che dal nulla salta fuori una dentiera gigante che incomincia a inseguirmi.
Non sono cose che succedono tutti i giorni, perciò faccio dietrofront, perché anche nei sogni non è che sono scimunito, e la dentiera mi viene dietro, e quando mi volto è il Piero Petonero, però con le sembianze di una dentiera, che a guardarlo meglio non è che stia poi così male. Pedalo sempre più forte, ma alla fine il Piero mi piomba addosso e mi sveglio.
Accendo la luce perché ho un po’ le palpitazioni. Me ne sto lì qualche minuto, tranquillo, e mi alzo solo per bermi un bicchiere d’acqua. Faccio scorrere l’acqua e mi pare di sentire un rumore. Toc, toc. Sembra proprio un rumore. “C’è qualcuno?”, domando, ma nessuno mi risponde, allora torno sotto le coperte perché ci ho un sonno che dormirei pure in piedi.
Quando mi sveglio, il giorno dopo, il sole è già alto e mi sbatte dritto nell’occhio destro, così apro solo il sinistro e di solito non succede mai, perché la tapparella è sempre abbassata, ma adesso noto che invece è alzata a metà, e forse ieri non ci avevo mica fatto caso.
Prendo il telefono e mi accorgo che mi sono sconnesso dal wifi, che mia figlia mi ha fatto installare perché ha detto che così risparmio soldi e ci possiamo vedere quando ci chiamiamo. Allora mi riconnetto, ma il telefono mi chiede la password, e mica me la ricordo a memoria la password, che è lunga un chilometro e ci sta a fatica dentro al cassetto, allora apro il cassetto, e cerco, ma la password è sparita.
Cerco meglio, perché la password la tengo nel cassetto, e cerco, cerco, ma la password è sparita, e allora lo so già, e dico “Eh”, ma nella testa, perché davvero, al giorno d’oggi non si può più essere sicuri di niente, però chi è che ti entra in casa per rubarti la password del wifi? Così chiamo il servizio clienti, ma non mi risponde nessuno, c’è solo una musichetta che va avanti per ore, e ho la vescica piena e devo andare a prendermi la spremuta con la briosche, e mi tocca mettere giù e adesso che son senza password non so mica cosa devo fare.
“Spremuta e brioche?”, mi domanda il Mario, quando mi vede entrare, e poi mi chiede se è tutto a posto, perché mi sa che si vede da in fondo al viale che ho un muso lungo così. “Mi hanno rubato la password del wifi”, spiego. “Come la password del wifi?”, ribatte, incredulo. “Eh”, faccio io, sedendomi all’ultimo tavolo, quello sull’angolo in fondo a destra.
“Non si può più essere sicuri di niente, al giorno d’oggi”, esclama, portandomi la colazione, e quando parla il Mario sembra sempre che stia parlando un bambino di sei anni, e un po’ti fa ridere, a pensare a un bambino di sei anni con quei manoni grossi come delle vanghe, però ridere o non ridere, ha ragione.
Torno verso casa, e mi trovo tutti i condomini fuori. La casa, sparita. Guardo lo spazio lasciato vuoto, e non so mica cosa dire. Anzi, lo so. “La casa?”, domando al Piero Petonero, che è ancora in pigiama. “Eh”, mi risponde. La signora Maria Pia Cristofori Colombina non si dà pace, mi prende sotto braccio e inizia a farfugliare qualcosa che non capisco. Le serve una dentiera.
La signorina Ottavia fa una scenata di quelle che non sono sicuro che stia proprio bene, però capisco che se ti entrano a casa e ti portano via la pazienza, poi queste sono le conseguenze. Sento qualcuno dire che una casa non può mica sparire così, nel nulla, ci saranno pure delle tracce, e se le seguiamo, magari ci portano dritto verso la casa, e penso che in effetti ha ragione, e che le cose non è che spariscono così, e però la signora Adele dice che era lì che sprimacciava il cuscino, si è voltata, e non c’era più niente.
Adesso lo so che a raccontarle così, sembrano cose da pazzi, e se mi chiedete “Rodolfo Bertini, ma che diamine ci stai raccontando?”, ecco, io lo capisco, perché per essere strano, è strano, però è successo e che cosa ci posso fare. “E adesso, senza una casa, che cosa facciamo?”, ha domandato il Petonero. Già, e adesso, che facciamo?, che a me a star qui tutto il giorno a guardare un buco dove prima c’era casa mia non è che mi va tanto, anche se ora che mi hanno portato via la password del wifi mi interessa un po’ meno. E poi mi son chiesto, ma se devi portarti via tutta la casa, che bisogno c’era di portarmi via anche la password del wifi?
Proprio vero che al giorno d’oggi non si può più essere sicuri di niente.