Ho scoperto un nuovo pianeta. Chi, tu? Sì, proprio io, e adesso vi racconto come è andata.
Il mese scorso mio zio Alessandro, che di mestiere fa l’ottico, mi ha regalato un telescopio per il mio compleanno. L’ha costruito lui, perché mio zio è uno di quegli uomini che, con un cacciavite in mano, ti montano una cucina. Non come mio padre, che se vede un cacciavite sul tavolo, pensa sia la bacchetta di Harry Potter.
In teoria dovevo guardarci le stelle, ma all’inizio l’ho usato per ammirare le tette della Marcella, che abita nell’appartamento di fronte al mio. La Marcella ha due tette che sembrano due pianeti, e quindi mi sentivo già un esploratore. Mi son detto, così, però, il Nobel non lo vincerai mai.
Allora me ne sono andato in solaio, e in solaio c’è una finestrella, e in quella finestrella ci ho infilato il telescopio e ho iniziato a osservare il cielo. Qui dove sono io non è come in città, dove vive il Ludovico, che ci sono sempre luci e lampioni e la notte sembra un giorno un po’ più scuro. No, qui, la notte, si spegne tutto e se sei fortunato vedi già un sacco di stelle a occhio nudo.
Io non so se sono fortunato, ma questo telescopio ha iniziato a mostrarmi un sacco di cose che sono belle quasi quanto le tette della Marcella. E una notte l’ho passata attaccato a quel telescopio, e non ci pensavo proprio ad andare a letto, e quando mio padre ha minacciato di prendermi a calci nel culo, ho chiuso la porta a chiave, che tanto poi gli passa.
Ed è stata proprio quella notte che l’ho scoperto, il pianeta. Ma come, tu? Sì, proprio io. In alto a destra. Mi sono messo a fare qualche calcolo, e il pianeta distava solo trenta milioni di chilometri dal Sole, che se uno ci pensa, non è poi così tanto, a meno che non ci si voglia andare a piedi.
Grande, non lo è. Così, sembra grosso come un’anguria, ma in realtà, lo è molto di più, anche se secondo me è più piccolo della casa del Ludovico, che ha una casa così grande che non credevo potesse starci dentro a una città.
Sul pianeta ci vivono tante persone, ma non tantissime, una ventina, che non si rivolgono mai la parola e, quando lo fanno, è solo per insultarsi. Come una grande famiglia. Con il telescopio sono riuscito a leggere il labiale, e quante se ne tiravano dietro, figlio di un satellite nano, pezzo di antimateria, testa di idrogeno.
Però non è che non parlino, perché parlano, parlano, solo che lo fanno con se stessi, e allora ho pensato che questo pianeta potevo chiamarlo Soliloquio, che per un pianeta così è un gran bel nome.
Questa però non è la cosa più bizzarra, ma il fatto che il pianeta gira intorno al sole in otto giorni e in due ore intorno a se stesso. Dormire sembra impossibile e non si fa a tempo a infilarsi giaccone, sciarpa e guanti che è già tempo del costume da bagno.
I soliloquisti vivono perciò una vita nevrotica, schizofrenica, e quando non stanno a insultarsi o a parlare con se stessi, si lamentano del tempo, perché con quei ritmi cosa altro ti rimane da fare?
Il giorno dopo sono andato da mio papà, che se ne stava sprofondato sul divano, nascosto dal giornale, e gli ho raccontato del pianeta che ho scoperto e dei suoi abitanti, e mio padre ha grugnito un po’, e mi sembravano grugniti di assenso, però staccarlo dal giornale non è mica facile.
Allora sono andato da mia madre, che se ne sta tutto il giorno a parlare al telefono, ore e ore, e infatti era al telefono, e quando ho provato a raccontarle qualcosa, mi ha dato una carezza in testa e si è infilata in camera sua.
Sul Soliloquio potrei trasferirmi pure io, tanto nemmeno a casa mia si parla poi così tanto. L’unica cosa che mi tiene qui, con i piedi ancorati su questa, di terra, è che non sono sicuro affatto che, una volta lì, ci siano delle tette belle come quelle della Marcella.