In questo articolo analizzerò alcune delle composizioni più significative di Gavino Bestetti, considerato l’esponente più importante della scuola lombarda degli haiku.
Prima di gettarci a capofitto nell’analisi, un breve excursus biografico del grande poeta. Gavino Bestetti, vero nome di Bestetti Gavino, nasce nel 1980 a Milano. Suo padre è Garrone Bestetti, che ha rivoluzionato la cucina nipponica introducendo il concetto di Temaki al dente. La madre, Orsola Pesenti in Bestetti, lavora come traduttrice.
In casa Bestetti si respira cultura e il minestrone di ceci che è sempre sul fuoco a bollire. Gavino è un bambino vivace che ama leggere, abbaiare alle macchine che passano e taglieggiare i negozianti del quartiere.
A sedici anni l’incontro che cambierà per sempre la sua vita: quello con Matsuo Bashō. Avviene alla libreria C’era una Volta, che appartiene alla famiglia Volta da due generazioni. Mentre Gavino è impegnato a estorcere del denaro a uno dei clienti, si accorge di un volume tutto nero con degli ideogrammi. Infila il coltello in tasca e si china per guardare meglio.
È l’opera omnia del maestro Matsuo Bashō. In lingua originale. Bestetti è affascinato dalle forme sinuose degli ideogrammi, così simili a quelle della sua vicina, la signora Marisa Carpa Del lago. Compra il volume e per una settimana si immerge nella lettura dell’opera di Bashō. Capisce che, se vuole veramente carpirne il significato, deve imparare il giapponese.
Si iscrive al corso di lingua e antiche tradizioni nipponiche tenute dal maestro zen Cesare Katsoduro, un monaco zen che ha meditato per dieci anni sopra una roccia convinto che questo lo avrebbe aiutato a risolvere il suo problema di priapismo.
Ogni volta che Gavino Bestetti commette un errore, o cerca di risolvere con la logica domande paradossali, tipo il coccodrillo come fa, si becca una sonora bastonata dal maestro Katsoduro.
A venticinque anni Gavino Bestetti parla e scrive giapponese fluentemente, è maestro di cerimonia del tè e si laurea alla facoltà di lettere e filosofia con una tesi intitolata Il Bashō della morte, un excursus storico che analizza dal punto di vista freudiano la pulsione di morte insita nella cultura giapponese se si leggono troppi haiku dopo un mese di dieta a base di wasabi.
Il neolaureato Bestetti, però, non ha idea di come utilizzare nel mondo del lavoro tutto il sapere che ha immagazzinato. Inizia a mandare curricula a tappeto, ma non lo chiama nessuno. Tranne il signor Cremonesi, un tale che deve aver sbagliato numero e gli domanda se il carburatore sia da sostituire.
È proprio in questo periodo, chiuso nella sua cameretta, con il poster di Sabrina Salerno che lo osserva dall’alto delle sue minne atomiche, che Gavino Bestetti inizia a scrivere i primi haiku. La foglia è considerato subito un capolavoro:
Una foglia è
come un foglio ma la a è
dove sarebbe la o
In tre linee, un mondo. Il tema della metamorfosi, della trasformazione, che riprende una tradizione che parte da Ovidio e arriva dritta dal Bestetti dopo una breve pausa nella Praga kafkiana. Poi, la sostituzione, quella di una vocale.
Il poeta evoca il dramma della sostituzione etnica senza mai menzionarlo veramente, dimostrando una sensibilità straordinaria per tematiche contemporanee. Infine, il tema dell’identità: nonostante le similitudini, prevale l’individualismo, l’io sono che sovrasta il noi siamo, chiaro segno della decadenza culturale dei nostri tempi.
Ma Bestetti non si ferma lì, e inizia a sfornare un haiku dopo l’altro, donando al mondo momenti di estatica bellezza. Come La polenta:
Forse un po’lenta
Ma con tutti quei funghi
È un attimo
Secondo il Lumarel, grande critico che analizza le poesie così come i lavori in corso, il Bestetti, qui, ci parla della sostanza delle cose. Nella vita non bisogna mai limitarsi alla prima impressione.
La seconda raccolta, che segna una netta cesura con la prima nei temi e nella poetica, si intitola Etciù ed esplora il rapporto dell’uomo con la malattia, la finitezza e le dipendenze sessuali. Leggiamo insieme Lo starnuto rivelatore:
Un fazzoletto
Minestrina di pollo
Cala la notte
Come un quadro fiammingo, il poeta ci descrive con poche immagini la disperazione in cui precipita l’uomo contemporaneo di fronte al raffreddore, l’abisso che lo avvolge quando le vie respiratorie sono occluse e il naso si trasforma in un corpo infido, alieno, nemico.
La sessualità è invece la protagonista di questa composizione, che il Bestetti ha intitolato Davvero un peccato:
Il mio gingillo
Trave dura, legnosa
Buia cecità
Si intuisce la sentita fede cattolica del Bestetti, causa di un profondo senso di colpa da cui il doppio senso del titolo. Da contraltare, il terrore di rimanere cieco a causa di una certa attività poco produttiva, ma molto ricreativa.
Il poeta fa riferimento a un periodo della sua adolescenza caratterizzato da un improvviso calo della vista. I dottori attribuirono il fenomeno a non specificati problemi neurologici, ma il Bestetti ci rivela in queste tre linee la verità, corroborando un luogo comune che molti consideravano una palese minchiata.
La Vittoria Pampalina, nel suo saggio Nulla è per sempre, nemmeno la permanente, scrive che “La raccolta Etciù di Gavino Bestetti ricorda a tutti noi che la nostra vita è finita e per fortuna, altrimenti ci toccherebbe leggere cose così per un tempo infinito”.
E arriviamo al 2023, l’anno di Dal like all’haiku. Visibilmente ispirato da Ionescu e dalla sua opera La cantatrice calva, Gavino Bestetti fa leva sulla vuotezza del senso per mettere in luce non solo l’insensatezza della vita (della sua, in particolare) ma l’abisso semantico e relazionale che i social hanno scavato nella società occidentale. Prendiamo per esempio Social-isti:
Gattini, miao
In Cina c’era Mao
Mangio cacao
Un haiku ermetico, almeno a prima vista. Henry Turner Di Stefano, professore di Lingua, letteratura e pettinature giapponesi all’università di Oxford, ha spiegato in un’intervista rilasciata alla rivista milanese Manga minga che il primo verso è un evidente riferimento alla viralità sociale che il Bestetti schifa più del Covid. Tuttavia, meglio la viralità sociale che vivere sotto un leader con una pettinatura come Mao Zedong.
Per Di Stefano, il Bestetti introduce l’estetica dell’orripilante. Il brutto come orizzonte del nonsenso. Kim Jong Un, allievo postumo dello Zedong, è un altro esempio di leader che tiranneggia a causa della ovvia pettinatura da deficiente.
Il popolo soffre perché cerca di attribuire un senso a ciò che non ne ha. Non rimane altro che mangiare cacao, una forma estrema di rifiuto della società che vuol farci credere che, in un mondo dove la gente non conosce il congiuntivo e cosparge gli spaghetti allo scoglio di parmigiano, la morte sia il peggiore dei mali.
Il poeta fiammingo partenopeo Carmelo Smets ritiene la spiegazione del Di Stefano incomprensibile ed è convinto che il Bestetti sia in realtà un alieno travestito da mitomane.
E veniamo al più recente componimento di Gavino Bestetti, Inverno estivo:
Ambarabaci
Cicocco tre civette
Abbaia la neve
La prima reazione a fine lettura è quella di un totale spaesamento, a partire dal titolo. Sempre l’Henry Turner Di Stefano sostiene che il Bestetti non stia cercando di togliere senso, ma di restituircelo. Il non detto sarebbe più importante del detto.
L’inverno estivo non è auspicabile, ma lo è molto di più rispetto a un’estate invernale. Il titolo di questo haiku, quindi, non è altro che un modo poetico con cui il Bestetti ci esorta ad apprezzare quello che la vita ci offre. Il poeta fiammingo partenopeo Carmelo Smets ritiene la spiegazione del Di Stefano incomprensibile.
Una volta decifrato il titolo, rimane da decodificare il testo dell’haiku. Tutti ne conoscono l’incipit, tratto dalla famosa filastrocca per bambini. Non tutti ne conoscono, però, il testo originale.
Per anni abbiamo creduto che le civette facessero l’amore con la figlia del dottore, ma in realtà i tre pennuti facevano timore alla figlia del dottore. Una vera rivoluzione copernicana per milioni di italiani che li ha portati a mettere in dubbio le fondamenta della conoscenza stessa: esiste il mondo? Posso conoscere davvero l’altro? Se esiste una vita dopo la morte, sarà possibile usufruire ancora della propria pensione?
È in questo filone che si inserisce Gavino Bestetti, con quella sensibilità artistica che gli permette di percepire il malessere contemporaneo, quello spleen che ti fa rimanere attaccato ore al giorno a scorrere le pagine dei social network.
Il poeta estrae la filastrocca dal suo contesto e la inserisce in un vacuum che sospende ogni giudizio. Proprio quando ognuno di noi è pronto a continuare la filastrocca, avviene lo spaesamento, lo spostamento semantico: le civette cedono il posto all’inverno, quello della vita.
Il poeta, oltre a far emergere il tema dell’insensatezza della vita, ci ricorda che la vecchiaia è una rottura di coglioni, soprattutto quando si invecchia come suo zio, Geronimo Bestetti, che trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita seduto sopra un pouf nel vano tentativo di trovare una parola che potesse chiudere il vocabolario della lingua italiana, promuovendo zuzzurellone al penultimo posto.
Questo, almeno, secondo l’interpretazione di Henry Turner Di Stefano, per cui il poeta fiammingo partenopeo Carmelo Smets ha richiesto un trattamento sanitario obbligatorio.
Gavino Bestetti è spesso paragonato a un Ungaretti con sonorità spiccatamente più nipponiche. I suoi haiku sono stati tradotti in quindici lingue, per lo più morte.
Di recente, insieme al dottor Kenji Kekakawa, ha pubblicato un libro, Tempurologia, in cui sostiene che il fritto misto di molluschi, crostacei e verdure intrisi in una pastella di farina di riso, acqua e uovo sia in grado di risolvere numerosi problemi di disfunzione erettile.