Il polpettone di mia suocera

Duro. Ma duro tipo roccia. Venerdì scorso il Pino ci ha lasciato due incisivi. “Sono in città”, mi scrive quella mattina. “Ci vediamo?”

“Cosa faccio?” domando a mia moglie, perché il venerdì sera, cascasse il mondo, alle sette e quindici, precisa come un orologio svizzero, mia suocera suona il citofono in compagnia dell’ospite indesiderato: il suo polpettone.

“Invitalo per cena”
“Sei sicura? Non mi sembra…”
“Ma sì, dai”

Occhei, rispondo, ma non mi sembra affatto una buona idea.

Alle sei e mezza, arriva il Pino. Sarà un anno che non ci vediamo. “Uè, vecchia canaglia!” mi urla, abbracciandomi e allungandomi poi una bottiglia di vino. “Quanto tempo. Troppo”

“Davvero”, gli rispondo. Dopo aver salutato mia moglie (“Rebecca, sei sempre uno splendore”) e passato in rassegna i gemelli (“Allora tu sei Michele e tu Guido? Ah, il contrario?”), lo faccio accomodare sul divano e gli offro una birra. Ci mettiamo a chiacchierare in attesa dell’ora x.

“Be’, come va?”, gli domando. 
“Ma sì, dai, non mi lamento”
“I ragazzi? Stanno bene?”
“Credo”
“Come credo?”
“Sono sempre chiusi in camera loro. Sbucano fuori solo per cena”
“Adolescenti. Adesso toccherà anche a noi”
“Eh, caro mio. Salute!”

Alle sette e un quarto spaccate suona il citofono. Quella donna mi preoccupa. Più che lei, però, mi preoccupa il suo polpettone.

“Nonna!”, esclamano i miei figli, correndole incontro.
“Amori della nonna!”. Poi tira fuori un paio di cioccolatini. “Questo è per il mio Michele e”
“Nonna, sono Guido”
“questo per il mio Guido”
“Sono Michele”
“Rebi, per piacere, cinque minuti in forno a centottanta gradi” dice a mia moglie, porgendole il polpettone. 

Mi avvicino all’orecchio del Pino, “Occhio che quel polpettone lì ha la consistenza di una roccia”

Il Pino ride. “Non c’è problema, sono abituato ai sofficini di mia moglie, serviti a tavola ancora surgelati” 

“E questo bel giovanotto, Dani, non me lo presenti?”, cinguetta, arrivando in zona Pino. Il Pino si alza.
“Lui è il Pino, un mio vecchio compagno di liceo”
“Signora”, fa il Pino, abbozzando un baciamano. 

Dopo qualche giro di aperitivi ci sediamo a tavola. Inizia la religiosa distribuzione del polpettone, che la mamma di Rebecca esegue con ieraticità dei gesti e metodo.

“Occhio”, ribadisco al Pino con un sussurro. Lui mi guarda con una faccia, come per dire, tutto sotto controllo, poi ne addenta un pezzo. “Occhio”, ripete divertito, strizzandomelo, l’occhio. Ma il polpettone di mia suocera è infido, all’inizio sembra che ti si sciolga in bocca e poi… e poi arriva il secondo morso, e con quello una di quelle bestemmie che mi è sembrato tuonasse in lontananza.

“I miei incisivi, i miei incisivi”, inizia a piagnucolare il Pino, e io il Pino lo conosco da una vita, ma piagnucoloso così non me lo ricordavo davvero. Guido e Michele si piegano dalle risate, e in quel momento pensi, ma non potevano nascermi due figli normo dotati?

Lancio un’occhiata a mia moglie, tipo lo sapevo, e lei fa spallucce, tipo la mia era un’idea come un’altra. Mia suocera commenta, “Mia mamma me lo diceva sempre, se vuoi sposarti un uomo, guardagli prima in bocca. Denti sani e forti, ecco quello che ci vuole”.

Il Pino estrae il pezzo di polpettone a cui sono rimasti attaccati i due incisivi. “Come la spada nella roccia”, esclama Guido, ma forse è Michele. “Ma no, due Menhir di Stonehenge” replica subito Michele, ma forse è Guido. E scoppiano a ridere. Due gocce d’acqua, scimuniti uguali. 

“Adesso basta, ragazzi, altrimenti ve lo faccio finire, il polpettone”. Mia moglie mi lancia un’occhiataccia, ma tanto mia suocera è mezza sorda. Il Pino apre la bocca per dire qualcosa, ma la sua voce è preceduta da quella di uno dei gemelli, “Papà, guarda, il traforo del San Gottardo”.

Vorrei ribattere con tono severo, ma scoppio a ridere. Rido io, ridono i gemelli, ride mia moglie. Ride pure mia suocera e penso, se continua a ridere, magari non si offende se oggi ne avanziamo un po’, del suo polpettone. L’unico a non ridere è il Pino, che va in bagno a controllarsi allo specchio, e non capisco come non faccia a ridere, perché sdentato così è difficile trattenersi. 

“Cazzo, i miei incisivi”, sbraita il Pino, producendo un sibilo mica male. 
“Fiu fiu”, fischia uno dei gemelli, “il richiamo dell’upupa”
“Ragazzi, vi avverto”
“Pino, secondo me non stai male”, sbiascica mia moglie, già ubriaca.
“Denti sani e forti”, continua mia suocera, che si è tolta la dentiera e sbiascica più di mia moglie. “Quando ho conosciuto vostro nonno”, rivolgendosi ai gemelli, “ho subito capito che lo avrei sposato. Denti d’avorio. E un uccello grosso così”, mostrando l’avambraccio. 
“Mamma!”
“Letizia, per piacere, non davanti ai gemelli”, che intanto, a gesti, mostrano fieri gli attributi di loro nonno. 

Pino mi guarda, atterrito. Mi avvicino. “Te lo avevo detto di fare attenzione”
“Uomini con denti così non li fanno più, nossignore”. Io cerco di disfarmi della mia parte di polpettone, che aggiungo a quella di Pino. Senza incisivi, secondo me, si gusta meglio. Sento russare. È mia moglie, si è addormentata. 

“Dai Pino, un’altra forchettata, altrimenti si offende”. Pino mi guarda con una di quelle espressioni da cui è meglio non aspettarsi nulla di buono, poi fa per dire qualcosa ma gli parte un fischio che sveglia mia moglie.

“Buon anno!”, esclama. I gemelli si pisciano addosso dalle risate. Ma farli scimuniti così, ci vuole talento.
“Spaccava i sassi. Con i denti. E pure con l’uccello”
Mia moglie scoppia a ridere. Riconosco delle somiglianze in famiglia.

“Letizia, abbiamo capito il concetto”
A quel punto il Pino si alza, e in pochi secondi è fuori dall’appartamento.
“Non l’ha quasi toccato il polpettone. Un bel maleducato, il tuo amico”

Faccio di sì con la testa, ammirando le mie fette di polpettone sul piatto del Pino. A volte le cose non vanno poi così male.