Ufficio comunale, uno come tanti. Centinaia di persone si accalcano fuori dall’edificio. I fortunati, quelli dentro, in fila, attendono con pazienza, anche da giorni.
“Il prossimo”. La sala echeggia del suono di una voce stanca e annoiata.
“Buongiorno”
L’impiegato comunale, da dietro il suo vetro, osserva perplesso la persona che gli si para davanti. “Mi scusi, ma lei non è il prossimo. Torni in fila, grazie”
“Certo che lo sono, vede?” Mostra la carta d’identità. “Sono Prossimo. Ilario Ermenegildo Prossimo”
L’impiegato da un’occhiata al documento. “Sì, va bene, ma lei non è il prossimo della fila”
“Mi perdoni se insisto, ma non vedo chi possa essere il Prossimo oltre a me”
“Il primo della fila, per esempio. Mi scusi”, rivolgendosi al primo della fila, “lei. Sì, sì, lei, faccia un passo avanti. Come si chiama?”
“Io? Sono il professor Ubaldo Ultimo”
“Vede? Non solo non è il Prossimo, ma addiritttura l’Ultimo”, protesta il Prossimo.
“Torni al suo posto, su, da bravo, questa è una fila, ”
“Certo, questa è una fila, e io sono il Prossimo. E lui, lo ha sentito, è l’Ultimo”
“Ma mi faccia il piacere. Avanti il prossimo”
“Sono già qui, davanti a lei. Mi vede?”
“No, avanti l’altro”
“Quale altro? Quello è l’ultimo”
Si alza una mano da in fondo alla fila.
“Sì?”, urla l’impiegato comunale.
“Non vorrei sembrarle un opportunista, ma l’Altro sono io. Iginio Altro”
“Maledizione, voglio quello che sta qui davanti!”
“Io le sto davanti”
“Non lei, l’altro”
“Sono io l’Altro”
“No, il primo della fila”
“Il primo della fila è l’Ultimo”
La conversazione, piuttosto interessante, va avanti per dieci minuti, durante i quali non succede niente. L’artista ha voluto rappresentare l’immobilità del Paese.
Scusa ero distratto, puoi riscriverlo?