Ivo era un simpatico ragazzone di centodieci chili che passava la maggior parte del tempo a perdere tempo. Gli abitanti del paese lo consideravano un vero scimunito e lui non faceva niente per contraddirli.
Un giorno, preso da una certa tracotanza, Ivo si era tuffato dalla piattaforma di cinque metri della piscina estiva. Essendo febbraio, la piscina era vuota, ma questo non sembrava avesse fermato Ivo. L’unica cosa che lo aveva fermato era stato il fondo della piscina.
L’impatto era stato violento, almeno a leggere la Gazzetta del paese, che gli aveva dedicato un articolo. Ivo se ne era rimasto lì per un bel po’, con la faccia schiacciata contro le piastrelle, fino a quando era stato avvistato da due ragazzini appartatisi nelle vicinanze per fumarsi un paio di spinelli. “C’è un tipo spiaccicato in fondo alla piscina che assomiglia a Ivo” avevano detto all’operatore del 112.
Pochi minuti dopo era arrivata una macchina dei carabinieri. Ne era sceso l’appuntato Mirko Appuntato, nato Appuntato prima di diventarlo. La stazione dei carabinieri distava solo trecento metri dal luogo del ritrovo, ma l’appuntato Appuntato, a causa di una poca propensione al movimento e una alimentazione ricca di grassi e povera di fibre, non riusciva a percorrere più di cento metri senza fermarsi per riprendere fiato.
L’appuntato Appuntato, che conosceva Ivo da quando era un bambino, davanti all’immagine del ragazzo sfracellato al suolo aveva avuto un mancamento, cadendo in avanti e andando a sbattere la faccia contro la scaletta della piscina. L’urto lo aveva lasciato esanime per qualche minuto, privandolo dei due incisivi centrali superiori.
I due ragazzini avevano chiamato nuovamente l’operatore del 112. “Il tizio che assomiglia a Ivo è ancora spiaccicato sul fondo della piscina, e anche l’appuntato Appuntato ci sembra non se la passi molto bene”. Poi erano scoppiati a ridere, perché la fattanza non guarda in faccia nessuno.
Pochi minuti dopo era arrivata un’ambulanza. Dall’ambulanza erano scesi i paramedici Alfonsino e Pierluchino Appuntato, cugini di secondo grado dell’appuntato Appuntato. Arrivati sul posto, avevano notato, un po’ in disparte, nascosti tra gli arbusti, due ragazzini. Si erano avvicinati, riconoscendo Albertino Appuntato, figlio di Alfonsino, e Camillino Appuntato, figlio di Pierluchino.
I due ragazzini, davanti ai rispettivi genitori, erano scoppiati a ridere. Ai due papà non era rimasto altro che colpirli con dei sonori ceffoni rieducativi, perché i fratelli Appuntato erano uomini di una volta, cresciuti su a pedate, sberloni e zoccolate.
Una volta ripresosi, l’appuntato Appuntato, ancora confuso, non aveva riconosciuto i cugini e aveva sparato un paio di colpi in aria, intimando l’altolà. Purtroppo, una pallattola aveva colpito di striscio Alfonsino Appuntato, che si era gettato per terra, mostrando estro e fantasia nell’utilizzo delle bestemmie. Pierluchino si era prodigato subito a soccorrere il fratello e, mentre i due ragazzini continuavano a ridere, l’appuntato Appuntato si era accorto del clamoroso errore e aveva chiamato un’ambulanza. Il paese, però, era piccolo, e l’unica ambulanza disponibile era quella che guidava Alfonsino Appuntato.
In tutto questo trambusto anche Ivo, nonostante l’impatto potenzialmente letale, era riuscito a rialzarsi. L’appuntato Appuntato, rassicurato dalle condizioni vitali del ragazzone, si era rasserenato. “Come stai, ragazzone?”, gli aveva domandato, ripetendo la domanda un paio di volte perché, con quei buchi nella bocca, i suoni non gli uscivano più così chiari come prima.
Ivo aveva risposto in una lingua che nessuno aveva mai udito prima e che qualcuno, più tardi, aveva identificato come svizzero tedesco. Preoccupati da questo improvviso exploit, gli Appuntato avevano adagiato Ivo, a fatica, sopra una barella ed erano poi saliti tutti quanti sull’ambulanza. Alfonsino, nonostante il dolore al braccio, era riuscito a guidare fino al pronto soccorso, che si trovava a trecento metri di distanza.
Carlino Appuntato, papà di Alfonsino e Pierluchino, aveva monitorato le attività cerebrali di Ivo per tutta la notte. Ivo, ancora piuttosto scombussolato, non era riuscito a chiudere occhio. Aveva chiesto penna e fogli e si era messo a scrivere congetture, formule matematiche, dimostrare teoremi e fare uno schizzo del suo pene. Ne era rimasto piuttosto sorpreso, perché non ricordava di avere un uccello così grosso.
La mattina, quando gli era stata servita la colazione, Ivo aveva ringraziato l’infermiere, Agostino Appuntato, fratello minore di Alfonsino e Pierluchino, che si era bloccato di colpo, fissandolo. Ivo gli aveva domandato se fosse tutto a posto ma si era accorto che le parole che gli uscivano dalla bocca avevano un suono che non assomigliava all’italiano, la lingua che aveva sempre utilizzato, pur con una marea di errori.
Agostino, preoccupato, aveva chiamato il padre, Carlino, che non era riuscito a riconoscere la lingua, mentre aveva riconosciuto senza fatica lo schizzo di un pene. Accertando un’attività neurologica importante, il medico aveva messo in dubbio che quello di fronte a lui fosse l’Ivo che tutti conoscevano. Così, per sicurezza, aveva convocato la madre di Ivo, la signora Cristina Appuntato, sua cugina di terzo grado, che aveva confermato che il ragazzone di cento chili con la faccia da babbeo era proprio suo figlio.
Quando Ivo aveva aperto la bocca, però, le certezze di sua madre avevano vacillato. Fu in quel momento che Carlino aveva deciso di chiamare suo zio Santino Appuntato, prete del paese e rinomato esorcista.
Santino Appuntato aveva osservato Ivo per un po’, cercando di capire se un’entità malefica avesse preso possesso del povero Ivo. Non era riuscito a ottenere molte reazioni, nemmeno quando gli aveva rovesciato in testa l’intera confezione di acqua santa gasata, una vera chicca per esorcisti dal palato raffinato. Il prete aveva dichiarato che non bastava declamare in latino le orazioni di Catone il censore per essere considerato posseduto dal demonio e si era complimentato con Ivo per lo schizzo particolarmente dettagliato di un pene.
Questo non aveva aiutato Carlino Appuntato ad arrivare a una diagnosi certa, così si era rivolto allo psichiatra Aldino Appuntato, fratello di Santino, che aveva passato la vita a curare schizofrenici, border line e gente che se ne andava in giro con sandali e calzini bianchi. Lo psichiatra si era chiuso nella stanza con Ivo per uscirne solo sei ore più tardi. Carlino era rimasto in attesa della diagnosi ma Aldino non era stato in grado di fornirgliene una. Quello che poteva confermare, però, era che il paziente faceva degli schizzi di pene particolarmente dettagliati.
Dopo una settimana di degenza, durante la quale Ivo era riuscito a dimostrare come la lunghezza del suo intestino fosse direttamente proporzionale al tasso di inflazione, il neurologo Carlino Appuntato aveva dimesso il ragazzone.
Visto che ormai Ivo era considerato un genio, il preside del liceo locale, il centotreenne Mino Appuntato, papà di Aldino e Santino, gli aveva affidato la cattedra di fisica e matematica. Ivo aveva accettato con piacere e orgoglio il nuovo lavoro, trascorrendo il primo mese a scrivere formule sulla lavagna senza mai rivolgere una parola ai suoi studenti.
Gli studenti, tra gomitate e risatine, concordavano sul fatto che sì, forse era un genio, però in bilico su quella sottile linea che, se attraversata, lo faceva sembrare un perfetto idiota. Dopo un po’ avevano incominciato a stufarsi dei metodi di Ivo tant’è che un giorno, durante una lezione, uno degli studenti, Ambrogino Appuntato, che nonostante il cognome non aveva nulla a che fare con tutti gli altri Appuntato, aveva scagliato contro il professore la dentiera di suo nonno, colpendo Ivo, impegnato a scrivere alla lavagna, sul lobo dell’orecchio destro.
Ivo si era voltato, il viso contratto in una smorfia di dolore. “Appuntato!”, aveva urlato, dopo essersi girato verso la classe, ben sapendo che il responsabile dell’odioso atto era certamente un Appuntato. L’impatto, però, gli aveva provocato un attacco improvviso di labirintite.
Dopo aver perso l’equilibrio, era caduto a peso morto per terra, la faccia bella spiaccicata sulle piastrelle in stile liberty. I ragazzi, convinti che il professore fosse morto, si erano messi a urlare, richiamando le attenzioni del bidello del liceo, Gelsomino Appuntato, nipote del preside. Gelsomino aveva chiamato il 112. “Mandate subito qualcuno, il professore Ivo Appuntato è spiaccicato per terra”.
Pochi minuti dopo era arrivata una macchina dei carabinieri. Ne era sceso l’appuntato Mirko Appuntato che, come sappiamo, conosceva Ivo da quando era un bambino. Davanti a quella scena, aveva avuto un mancamento, cadendo in avanti e andando a sbattere la faccia contro il banco di Lino Appuntato, un ragazzo sensibile che soffriva di diuresi e che tutti chiamavano Pannolino.
L’appuntato si era accasciato al suolo e Lino, per lo shock, aveva iniziato quel mutismo selettivo che lo avrebbe accompagnato per tutta l’esistenza. A quel punto il bidello era stato costretto a chiedere l’intervento di un’ambulanza e in pochi minuti avevano fatto il loro ingresso Pierluchino e Alfonsino, anche se il secondo, che aveva il braccio tutto fasciato, era lì solo per portare supporto morale.
Pierluchino, accertatosi delle condizioni di Ivo, si era messo a schiaffeggiarlo, nella speranza di fargli riprendere i sensi. L’appuntato Appuntato, che nel frattempo, lentamente, ancora in stato confusionale, era riuscito a rialzarsi, aveva sparato dei colpi in aria, preoccupato dalla violenza a cui stava assistendo, facendo crollare una parte del soffitto addosso ad Alfonsino.
Pierluchino si era subito lanciato a soccorrere il fratello e, poco dopo, era uscito reggendolo per le spalle, mentre gli studenti avevano trasportato sulla barella il professore Ivo Appuntato, che aveva iniziato a dare segni di vita.
Al pronto soccorso il neurologo, Carlino Appuntato, papà di Alfonsino e Pierluchino, aveva monitorato le atività cerebrali di Ivo per tutta la notte. Ivo, ancora piuttosto scombussolat, non era riuscito a chiudere occhio. Aveva chiesto penna e fogli e si era messo a scrivere frasi sgrammaticate e a disegnare peni di varie grandezze.
Quando il neurologo, il giorno dopo, gli aveva domandato cosa signifcassero tutte quelle frasi, Ivo si era limitato a sorridere e poi gli aveva strizzato i testicoli. Carlino Appuntato aveva spedito fuori il paziente a calci nel sedere e Ivo aveva vissuto il resto della sua vita da perfetto imbecille.