La grande stoccata

Giampiero Tido metteva le dita nel naso. Non il suo, ma quello degli altri, che non è mica facile: ci vogliono coraggio, destrezza, velocità, riflessi, mira e una leggera tendenza all’ottusità. Quando scoprì questo suo talento, aveva solo dodici anni, un’età in cui si è ancora troppo giovani per evadere le tasse ma troppo vecchi per attaccarsi a un seno con il pretesto di essere allattati.

Se ne stava andando a zonzo per il quartiere, fischiettando la terza sinfonia di Mahler con le mani dentro le tasche dei pantaloni di un tizio che camminava davanti a lui, quando si era imbattuto in Untale. Eugenio Untale, un idiota certificato a livello regionale che se ne andava in giro sempre con al guinzaglio Derek, un cane da pastore di brie che soffriva di problemi legati all’identità sessuale e che, si mormorava, fosse ancora più idiota di lui. Chi lo sa, sarà stato il momento, o la frittata di cipolle che non aveva ancora digerito, non che l’avesse programmato, e zac, un affondo da provetto schermidore, il braccio proteso in avanti, e l’indice che, come una spada, colpisce il bersaglio, un inchino, e poi via a gambe levate. Untale, di nome e di fatto, mentre Derek si strusciava in maniera lasciva su un palo della luce, era andato su tutte le furie, gettandosi all’inseguimento di Giampiero Tido e sbottando in un “Come ti permetti! Anzi!” che aveva lasciato il giovane sportivo in uno stato di inquietudine legato alla troncatura improvvisa della frase.

Dopo quella volta, Giampiero Tido aveva continuato a infilare dita di qua e di là, scegliendo a caso tra la gente e ottenendo la qualifica di bambino prodigio. Famoso l’episodio in cui aveva introdotto entrambi i pollici nella narice destra del conducente del bus 75, che per lo spavento aveva perso il controllo del mezzo, arrivando per la prima volta in orario alla fermata successiva. L’ evento era stato salutato con ovazioni e una festa di quartiere che si era protratta per una settimana. Al poliziotto che lo aveva fermato chiedendogli spiegazioni, Giampiero Tido aveva risposto che, sebbene fosse vietato parlare al conducente, non c’era scritto da nessuna parte che non si poteva mettergli le dita nel naso. Poi, con un gesto veloce e inaspettato, aveva attaccato le narici dell’agente, beccandosi una denuncia per atti osceni in luogo pubblico, un paio di pedate ben assestate nel didietro e due punti da un arbitro che si trovava lì per caso insieme al capannello di gente.

Negli anni a seguire aveva affinato la tecnica, arrivando a fondare una vera e propria scuola di stoccate nel naso, aperta a bambini e adulti che avevano difficoltà a pronunciare le lettere dell’alfabeto. Il Tido ha sempre dichiarato che la cosa più complicata di questo sport era convincere le persone abituate a mettersi le dita nel naso (per alcune un vero e proprio talento naturale), a inserirle in quello altrui. Per questo, in palestra, agli allenamenti era sempre presente Franco detto Franco, uno psicologo adleriano che, seguendo l’assunto secondo cui il comportamento umano è orientato al perseguimento di una maggiore stabilità e sicurezza, aiutava gli studenti a superare le barriere psicosocioculturali per ricercare il gesto perfetto e immaginare un domani più appagante.

Al momento la stoccata nel naso è al vaglio del CIO, che sta decidendo se ammettere la disciplina ai giochi olimpici del 3220.