Toshiro Moretti pratica meditazione zen da dieci anni. Tutte le mattine, quando si sveglia, si siede nella posizione del loto sopra il suo cuscino in satin nero e medita per quarantacinque minuti.
Una mattina, però, si sveglia e capisce che tutto questo non gli basta più. Vuole arrivare all’essenza. Qui, nel suo appartamento a venti minuti a piedi dal centro di Milano, con le sue scarpe lucide e le camicie con le cifre, non può riuscirci. Troppe distrazioni.
Decide di partire per il Giappone, a Kamakura, dove c’è il tempio di Kenchō-ji. Lì insegna il grande maestro Jinsaburo, che deve la sua fama ai dieci anni trascorsi al tempio di Shaolin, dove si è distinto per la sua strabiliante tecnica di rottura dei mattoni con l’uccello.
Dopo un volo interminabile seduto di fianco a un tizio sofferente di ulcera peptica, Toshiro arriva al tempio di Kenchō-ji. Si lava e indossa un kimono pulito. Suona tre volte il gong e viene ricevuto da Jinsaburo, immobile sopra al suo cuscino.
“Maestro”, si annuncia il discepolo, in un perfetto giapponese, “sono Toshiro Moretti. Solo voi potete aiutarmi. Insegnatemi, ve ne prego”
“Hee”
Toshiro si inchina. “Maestro”
“Hee”
“Maestro”
“Sai qual è il suono prodotto da una sola mano di una mosca che applaude?”, domanda il monaco.
“Come?”
Jinsaburo si alza fulmineo e gli appioppa un sonoro calcio nel sedere. “Torna da me quando saprai la risposta”. Toshiro si inchina e rientra a Milano, sconsolato. Passa un anno intero a cercare una risposta a quella domanda.
E quella domanda sono due, tre, quattro domande, interrogativi che gli impediscono di dormire le sue otto ore di filato. Come è possibile che una mosca abbia le mani? E se anche le avesse, perché ne usa solo una? Perché e chi applaude? Sono esperimenti segreti portati avanti dal governo nipponico?
L’anno dopo si ripresenta al tempio. Non è il Toshiro di prima, ma un uomo diverso. Più maturo. Si lava, infila un kimono pulito e suona tre volte il gong. Viene fatto accomodare nella stanza in cui Jinsaburo sta meditando. Toshiro si inchina, quindi si siede nella posizione del loto, di fronte al maestro.
I due rimangono così, senza proferire un solo suono, per due mesi. Il silenzio viene interrotto da una forte emissione sonora, che Toshiro teme provenga dal maestro. Jinsaburo alza un dito, quindi domanda all’allievo se ha la risposta alla sua domanda.
“Sì, maestro. Il suono di una mosca che applaude con una mano sola è questo”, e mima con la bocca un qualcosa che assomiglia a un vagito di un infante. “La risposta vera, maestro, è che la mosca non applaude perché è parca di complimenti”.
Jinsaburo afferra un bastone e colpisce Toshiro sulla testa. “Può un Bitcoin possedere la natura del Buddha, e se non quella, almeno un delizioso gusto al caffè macchiato?” domanda il grande maestro. Poi gli li appioppa un sonoro calcio nel sedere. “Torna da me quando saprai la risposta”.
Toshiro, ancora rintronato dalla legnata, fatica a realizzare. Girovaga per Tokyo, si iscrive a un corso di sushi vegano per ninja, soffre di crisi mistiche. Sull’aereo cade in un sonno senza fine in cui sogna criptovalute danzanti che incantano i navigatori con i loro canti melodiosi.
Quando si risveglia, è nel suo appartamento di Milano, seduto sul water, con in mano una versione tibetana dell’ultimo libro di Fabio Volo. Sa cosa deve fare. Accende il computer e investe tutto quello che ha in monete virtuali e trenta confezioni di biscotti al burro e cioccolato.
Sono trascorsi tre anni. Toshiro è diventato miliardario. A Milano lo conoscono tutti perché alle sue feste si tromba: donne con uomini, uomini con uomini, cani con divani e gatti con gli stivali.
Toshiro Moretti non partecipa. Se ne sta seduto su un cuscino, nel soppalco del soggiorno, e medita. Quello che gli sta intorno è solo rumore. Ha penetrato di tutto, ma non l’essenza delle cose. Apre gli occhi. Un tizio cammina a quattro zampe, nudo, mentre un bonobo gli schiaffeggia il sedere. È abbastanza.
Si alza, e cammina fino all’aeroporto di Linate. Incontra spacciatori, prostitute senza denti e un assicuratore che cerca di vendergli una polizza sulla vita ad accumulo di capitale. In due ore è seduto sul suo jet privato, che decolla in direzione del sol levante.
In aereo si doccia, beve champagne e dorme dodici ore di filate. All’aeroporto lo attende un autista che lo accompagna fino al tempio di Kenchō-ji. Si infila un kimono, suona tre volte il gong e viene ricevuto dal maestro Jinsaburo, seduto come sempre a gambe incrociate sopra il cuscino. Toshiro si inchina.
“Maestro”
“Hee”
“Maestro”
“Hee”
Toshiro si inchina, poi dal kimono tira fuori un prosciutto crudo intero, colpisce il maestro in faccia e alza un dito. A quel punto Jinsaburo si alza, si inchina e pronuncia le seguenti parole: “Hee. Toshiro Moretti, sei arrivato all’essenza delle cose. Adesso togliti dalle palle, che ho la mia seduta sadomaso con Chihiro, la dominatrice di edamame”. Lo accompagna alla porta e gli assesta un potente calcio nel sedere.
Toshiro va a sedersi su un sasso, nel giardino del tempio, e guarda le nuvole che si muovono, si uniscono, formando una figura che assomiglia a delle tette giganti. Sorride, chiude gli occhi e rimane lì, a meditare, fino a quando qualcuno non lo solleva di peso e lo infila nel bidone della raccolta indifferenziata.