Quella Volta

C’era una Volta. A dirla tutta, più di una, perché la famiglia Volta era una famiglia numerosa che da secoli viveva in via Volta, a Milano.

Non che fossero imparentati con l’inventore della pila, anche se Riccardo Volta, classe 1918, sosteneva che il Volta Alessandro fosse un cugino di terzo grado del Dario Volta Gabbana, il suo bis nonno, famoso per i cambi repentini di opinione e per aver perso un testicolo durante una battuta di caccia.

Dunque, c’era una volta una Volta, anche se l’Accademia della Crusca mi ricorda che sarebbe meglio dire che una volta c’era una Volta.

Lei era Caporetta Volta, per tutti Capo Volta, nipote del Caterlucio Volta. Aveva due fratelli. Il Riccardo Volta, detto Ri Volta, un tizio che non era mai riuscito a combinare nulla nella vita. Mosso da ideali rivoluzionari, aveva passato la maggior parte della sua esistenza a convincere le formiche operaie a impugnare le armi e combattere contro l’impero delle regine.

Talarica Volta, meglio conosciuta come Tal Volta, era la sorella più piccola. Partita per la Francia a venticinque anni per imparare il francese, aveva conosciuto un filosofo sardoatesino influenzato dall’opera wagneriana di cui si era innamorata e con cui aveva aperto un negozio di anelli per Nibelunghi.

La vita di Capo Volta potrebbe riassumersi in due parole, che però non riusciamo a trovare. Nata nel 1923, morì nel 2020 a soli sessant’anni, un mistero che i dottori non sono stati ancora in grado di risolvere.

Si sposò due volte senza accorgersene, diede luce a tre figli e fu nonna amorevole di dodici nipoti che nacquero in ordine crescente di altezza. Fosse tutto qui, non ci sarebbe molto da raccontare, e dopo aver deposto un mazzo di fiori davanti alla sua tomba al cimitero monumentale, potremmo recarci a un bar in zona per ammazzarci di negroni sbagliati. E però.

Nel 1974, durante una manifestazione femminista per le strade di Milano, Caporetta Volta compie un gesto clamoroso: si arrampica su un palo e, gridando “Evviva il piacere clitorideo”, si strappa i baffi e confessa di essere sua sorella.

Purtroppo, a causa del frastuono, la folla non si accorge di nulla e così il seme gettato di un possibile sibling gender si perde in una marea di gesti della vagina. Il tutto viene immortalato da uno scatto del fotografo Lino Ardente.

La foto, di cui si persero le tracce, viene ritrovata durante un trasloco dalla nipote del fotografo, Pina Lappina, che la spedisce alla redazione de La storia siamo essi, un programma educativo per gente sgrammaticata.

Succede così che, quando la foto viene mostrata sulla rete nazionale, il quindici marzo del 2021, Gira Volta, la nipote prediletta di Caporetta, riconosce sua nonna in quella donna attaccata al palo. Non dai tratti somatici, ma per quella blusa bianca che Caporetta indossò tutti i giorni per quarant’anni.

Grazie a quella foto, nel 2022 il sindaco di Milano ha deciso di assegnare l’Ambrogino d’oro alla memoria di Caporetta, “amorevole sorella, mamma, nonna, che fece dei suoi baffi uno strumento di libertà”. Amen