Una storia d’amore

Gian Piero non aveva mai avuto una ragazza. Questa cosa non gli era mai pesata, almeno fino a quando tutti i suoi amici si erano sposati e avevano avuto figli, e a lui non era più rimasto nessuno con cui giocare il mercoledì sera a calcetto.

Maria Rosa non aveva mai avuto una ragazza. Questa cosa non gli era mai pesata, almeno fino a quando tutte le sue amiche si erano sposate e avevano avuto figli, e a lei non era più rimasto nessuno con cui giocare il mercoledì sera a calcetto.

Successe proprio un mercoledì sera. Gian Piero, solo, nel campo da calcetto, tirava punizioni a porta vuota. Anche così non era in grado di fare goal, ma a lui non importava. Durante una pausa, mentre beveva un po’ di acqua, intravide una figura nel campo di fianco.

Era Maria Rosa, che correva leggiadra con la palla tra i piedi, il sudore che le impregnava la maglietta. Bassa, tozza, lo sguardo torvo. Il suo tipo. Gian Piero si avvicinò alla rete che separava i due campi.

Maria Rosa notò quel ragazzo allampanato con lo sguardo un po’spento che la fissava. Un pervertito. Come piacevano a lei. Si avvicinò alla rete fino a sfiorare le dita ossute di Gian Piero. Rimasero uno davanti all’altra per un tempo che pareva infinito. Spensero le luci. 

“Facciamo un figlio insieme”, le sussurrò Gian Piero, vicino all’orecchio.
“Stai correndo un po’ troppo”, rispose Maria Rosa.
“Allora facciamo quello che si fa per fare un figlio, ma senza fare il figlio”

Venti minuti dopo erano a casa sua. Gian Piero aprì la porta.

“Shh, piano. I miei hanno il sonno leggero”

Fu una notte incredibile per entrambi. Fecero l’amore per due minuti e poi parlarono, parlarono, e Gian Piero continuò a parlare anche quando Maria Rosa se ne era già andata via, e non la smetteva più e i genitori, davanti a così tante parole, lo portarono a farlo visitare.

Il dottore rimase ad ascoltare e poi domandò se Gian Piero avesse mai avuto una ragazza. A quel punto Gian Piero disse, Maria Rosa, e poi si zittì.

Tornò al campo tutti i mercoledì sera, sperando di rincontrarla. Un mese. Due mesi. Il terzo mese la vide. Fischiettava, standosene seduta sopra la palla.

“Diventa ovale”
Lei si voltò. “Come?”
“La palla. Diventa ovale se ti ci siedi sopra”

Si alzò e gli venne incontro. Si sfiorarono i polpastrelli.

“Sono incinta”
Abbozzò un “Congratulazioni”
“Sono tuoi. I figli”
“I figli?”
“Gemelli. Nove gemelli”
“Nove?”
“Nove”
“Maschi?”
“Anche”

Gian Piero ci pensò su. “Vuoi sposarmi?”
Maria Rosa ci pensò su. “Va bene. Io voglio essere lo sposo, però”

Fu un bel matrimonio, anche se il prete, a metà cerimonia, si addormentò. Passarono anni felici. La casa era piena di bambini, e i genitori di lui non riuscivano più a dormire, ma a loro non importava, perché tutti quei nipoti erano una benedizione.

Una mattina Gian Piero si alzò e disse, vado a prendere un caffè.  A Maria Rosa venne un sospetto, perché a Gian Piero, il caffè, non piaceva proprio. Scese le scale e lo rincorse, ma era troppo tardi. Lo vide salire sopra la sessantuno e da allora non ne seppe più nulla.

Non che le importasse poi così tanto. Adesso che aveva nove figli, poteva ricominciare a giocare a calcetto il mercoledì sera.

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