L’orologio batte l’una tu sei fuori chissà dove
Giro nudo per la casa dimmi tu se questa è vita
Oggi ho deciso di soffermarmi sui due versi iniziali della prima strofa. Potevo spingermi ben oltre, ma proprio mentre mi stavo accingendo ad affrontare il terzo verso, è suonato il telefono.
Era il Giovanni, detto il Pimpi. Il Pimpi è uno forte, però ha il brutto vizio di chiamarti sempre nei momenti in cui non dovrebbe. Come vent’anni fa, durante la discussione della mia tesi. Mi ero dimenticato di spegnere il cellulare, che a ripensarci, e siccome ero in panico e non sapevo come farlo smettere di suonare, avevo risposto, creando del malcontento tra i membri della commissione. Era il Pimpi, voleva sapere come stava andando la discussione. Se mi metto a tavola e suona il telefono, è il Pimpi. Se sono sotto la doccia e suona il telefono, è il Pimpi. Se sto facendo all’amore, e suona il telefono, lo sapete già chi è. A fargli concorrenza ci sono solo i venditori, quelli delle compagnie telefoniche, che mi chiamano tutti i giorni. Non sento così spesso nemmeno mia madre. Almeno il Pimpi è forte e non cerca di rifilarmi niente. Solo che parla, parla e non ascolta.
“Ti disturbo?”, mi domanda. “Sto lavorando”, gli rispondo, ma non faccio nemmeno in tempo a finirla, la risposta, che il Pimpi giura che mi ruba solo cinque minuti, ma mi deve assolutamente raccontare una cosa e allora mi dice, non sai cosa è successo oggi mentre andavo in ufficio. Gli chiedo, cosa è successo, perché vedo che se ne sta zitto e a me il silenzio al telefono mi mette a disagio, come un senso di morte improvvisa, anche se il Pimpi è uno forte e parla così tanto che l’unica cosa a cui deve stare attento è di non finire strozzato da qualche parola di troppo che gli finisce di traverso. “Hanno arrestato un tizio, davanti a casa mia. Sembrava come nei film”, fa. Interessante, commento, mentre seguo con un mestolo alcuni passaggi del testo della canzone. “Sono arrivate tre volanti, gli hanno bloccato la macchina e lo hanno fatto scendere puntandogli contro le dita”. Le dita? “Sì, come se fossero delle pistole, solo che erano delle dita. Te lo immagini? Una cosa pazzesca. Ho fatto una foto, te la mando”. Mi invia la foto del tizio sbattuto per terra con delle dita che gli puntano alla testa. Ma è normale? “Hai visto?”, mi domanda il Pimpi. “Da non crederci. La mando ai giornali? Pensa se le dita sparavano?”. Le dita? “Sì, lì, per strada, con tutta la gente che aspettava alla fermata del bus. Tu esci la mattina, pam, una pallottola che esce da un dito ti colpisce per sbaglio e saluti a tutti. Una cosa senza senso”, e parte con una filippica sulla violenza, la fragilità della vita e l’uso delle dita come armi improprie.
Così, se ne è andata via un’ora ed è per questo che non mi rimane che analizzare solo i primi due versi della canzone. Intanto manca il contesto. Gianni, il grande Gianni (anche il Gianni è forte, ma non so se è forte quanto il Pimpi) ci dice che l’orologio batte l’una. Non vorrei digredire troppo, che ho altro da fare, ma io ho un orologio che abbatte l’una. Era di mio nonno, un vecchio orologio automatico con la lancetta delle ore che, da mezzogiorno, passa direttamente alle due. L’orologiaio mi ha fatto sapere che gingilli così non ne fanno più, e meno male, mi sono detto, e a me pare che un orologio che segna solo ventidue ore non sia fatto per chi ha già poco tempo da perdere.
Comunque, non si capisce se è ora di pranzo o se è passata la mezzanotte. Fa differenza? Forse: lui non sa dove questo tu se ne sia andato e, all’una di notte, uno magari si preoccupa. Ma poi, tu chi? L’ho domandato a un mio amico, che lavora al Nucleo investigativo dei Carabinieri, e mi ha risposto che, molto probabilmente, è il tu pronome personale con funzione di soggetto. Va bene, ma non mi torna. E nemmeno questo tu: torna, non torna, le sarà successo qualcosa? Gli sarà successo qualcosa?
In risposta a tutto ciò, l’autore gira nudo per la casa e si domanda se questa è vita. Se non lo è, bisognerebbe chiedersi che cos’è. Un atto sovversivo e antiborghese? L’effetto provocato dopo aver sniffato con veemenza un paio di calzini? Una prova di virilità quando il virile era ancora più importante del virale? Anche io vado in giro a casa con l’uccello di fuori, ma mica ci scrivo sopra una canzone. E a cosa serve tutto questo poi? A niente, perciò non ha senso, e la vita non ha senso, quindi sì, è vita. E che vita. Capolavoro.