Giro girotondo,
casca il mondo,
casca la terra,
tutti giù per terra!
Giro girotondo
Il mare è fondo,
tonda è la terra,
tutti giù per terra!
…
Giro girotondo
Il pane è cotto in forno,
buona è la ciambella,
tutti giù per terra!
Dietro questo fondamentale testo canoro c’è lo zampino di Anonimo, un autore prolifico che, tuttavia, non ha ottenuto la fama che meritava.
Secondo il suo biografo ufficiale, Adeste Fidelis, Anonimo sarebbe nato da qualche parte, parecchi secoli fa, e avrebbe avuto una vita lunga e fortunata, probabilmente dovuta al fatto che non si fosse mai sposato.
Dopo alcuni semplici calcoli di addizione, ho scoperto che Anonimo è morto all’età di novecentoottantacinque anni. Deve essere stato un grosso grattacapo per l’istituto di previdenza sociale. Ma veniamo a Giro girotondo.
La canzone, e uso il condizionale solo per far vedere che non sono un ignorante, sarebbe stata incisa alla vigilia dell’anno mille. Il testo risente di questa vicinanza, pervaso come è di una escatologia a dir poco tragica. L’apocalisse, in questo caso, andrebbe a influire sulla legge di gravitazione universale, che ai tempi però non era ancora stata formulata.
L’idea del mondo che casca è una di quelle cose che ti fa passare la voglia di alzarti la mattina per andare in ufficio. C’è quindi una dicotomia tra testo, catastrofico, e l’esecuzione della filastrocca, giuliva, festosa, garrula.
Non voglio giustificare, ma si capisce che in momenti così drammatici, vedere dei bambini che girano felici dandosi le manine potesse indurre le persone dell’epoca, terrorizzate dalla fine del mondo, a irrompere nel cerchio a suon di alabarda.
Anonimo doveva aver capito che bisognava alleggerire la canzone, così prosegue con delle ovvietà che servono a stemperare il climax.
Che la terra sia tonda è stato messo in discussione in questi anni da diversi gruppi che ritengono, al contrario, che la terra sia piatta. Non tutti, per la verità. Taluni credono sia triangolare, mentre un gruppo di esagitati è convinto che sia a forma di torta Saint Honoré.
La canzone si conclude con una visione quasi bucolica di pane appena sfornato che stride con l’incipit burrascoso. Se mi sta crollando il mondo, ho voglia forse di infornare pagnotte e abbuffarmi di ciambelle? L’ho domandato a mia madre, che mi ha consigliato di trovarmi un lavoro serio.
Lo storico medievalista Abelardo Damilano mi ha suggerito un’altra interpretazione, ma non la posso scrivere perché mi ha detto che, se lo faccio, casca il mondo e tutti giù per terra. Capolavoro!
Ring-a-ring-a roses,
a pocket full of posies;
Hush! Hush! Hush! Hush!
We’re all tumbled down.
Ring around the rosie,
A pocket full of posies.
Ashes! Ashes!
We all fall down!
Quando la peste nera si scatenò sull’Inghilterra nel 1600, fu necessario spiegare ai bambini la morte e la putrefazione dei cadaveri per ogni dove per le vie cittadine. La prima strofa si rifà ai primi segni della peste sulla pelle, delle roselline infette, o all’abitudine di portare un sacchetto di fiori profumati con se per coprire il tanfo dei corpi in decomposizione, che venivano bruciati finendo in cenere.
Ashes ashes, we all fall down.
Con gli anni la filastrocca ha perso le connotazioni apocalittiche ed i versi sono stati modificati. Immaginarsi in quelle vie durante la peste coi bimbi in cerchio che canticchiano la filastrocca causerebbe traumi tanto profondi a chiunque, tanto che a confronto il post traumatic stress disorder di un veterano di 7 turni in Vietnam varrebbe una scorreggia alla sagra del porcello