Io no, io no, io no
Io non ti perdonerò
Io no, io no, vedrai che
Io no, io no, io no
Io non ti perdonerò
Io no, io no, vedrai che
Io non ti aspetto più, yeah, eh eh
Io non ti aspetto più, yeah, eh eh
(Io no, io no, io no) Io non
(Io non ti perdonerò) Ti aspetto più, yeah, eh eh
(Io no, io no, io no) Io non
(Io non ti perdonerò) Ti aspetto più, yeah, eh eh
Il rocker di Zocca scrive qui un testo semplice a uno sguardo superficiale, ma che contiene una scintilla di complessità che ne rivela la filosofia di fondo.
Io no, io no, io no. Vasco mette in discussione l’identità dell’io, rivelandosi un seguage di David Hume e delle sue teorie. L’io è solo un’amalgama di sensazioni.
A un ascolto veloce sembra che il cantante si rivolga a qualcuno, una donna, o una uoma, che non può perdonare, che non può più aspettare e, secondo alcuni, non può neanche più esibirsi come ventriloqua.
Non è così. Basta aggiungere la punteggiatura per illuminarne il significato. Io, non ti perdonerò. Io, non ti aspetto più. Ci sono due temi che si intrecciano.
Il primo è quello del successo, effimero, legato a un io ipertrofico. Come il mio bicipite. Io no, io no, io no. Bisogna abbandonare questo io per disvelare quello vero. È la prima rivoluzione copernicana.
La seconda è la scoperta che l’io è un illusione, una menzogna che ci raccontiamo perché altrimenti cosa ce ne faremmo dei social network? L’io non esiste. Ma se allora l’io non esiste, perché IO devo pagare le tasse?
Da notare l’uso del vocalizzo, yeah, eh eh, che l’autore porta all’estremo, allungando le consonanti fino a ottenerne un suono udibile solo da cani da caccia e da Wilfred, un uomo dotato di padiglioni auricolari fuori dalla norma, e con cui riesce a esprimere il vero significato della canzone. Quale sia, però, non ne ho la più pallida idea.
Capolavoro, yeah eh eh.