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Si vive una volta sola, ma tu vali due
Vorrei darti un bacetto, ma di un etto
Se ti va ne ho ancora una dentro il pacchetto
Mi hai fatto bere come un vandalo e sono le tre
Si è rotta l’aria del mio bungalow, vengo da te
Però mi dici: “Non salire, che è meglio di no”
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Gilberto Cacaletto era la persona più simpatica della provincia di Forlì – Cesena. Un buontempone che metteva allegria solo con la sua presenza. Morì a novantasette anni per un’unghia incarnita, circondato dai suoi ventisette figli, tutti avuti dalla stessa moglie, la signora Cesira, di vent’anni più anziana.
Gilberto Cacaletto si reincarnò in una piadina romagnola, vivendo così la sua seconda, seppure breve vita. Ma squisita. Pare ovvio che gli autori di questo tormentone estivo non conoscessero la storia di Gilberto Cacaletto, altimenti avrebbero fatto più attenzione a quello che scrivevano.
Tutto ciò non inficia la qualità, notevole, del pezzo. L’immagine di un etto di bacetto è formidabile e mi riporta alla mente la mia lattaia che, davanti alla richiesta di un paio di etti di bresaola, esclamava, “Signora, sono venti etti e tre, cosa faccio, li lasciamo?”, costringendo la sciura ad aprire un mutuo inestinguibile.
Certo, un bacetto non è la bresaola, ma siamo sicuri che un etto non sia troppo poco?
Andando avanti, abbiamo il nostro bellimbusto, che forse bellimbusto non è, che si lamenta con l’amata, che forse amata non è, di averlo fatto bere come un vandalo. Che cosa intendano qui gli autori, mi sfugge.
O almeno, mi sfuggiva, fino a quando ho chiamato il mio amico Annibale, proprietario di un allevamento di anguille nelle valli di Comacchio, che da quando è stato colpito in testa ad Hyde Park da una noce scagliatagli da uno scoiattolo, ha iniziato un percorso spirituale che lo ha spinto ad abbandonare le preoccupazioni terrene per dedicarsi alla salvaguardia dell’Universo.
Annibale mi ha spiegato che il verso originale era “Mi hai fatto bere come un sandalo”, e la parola è stata cambiata per evitare la censura radiofonica. Al momento ho dubitato delle doti intellettuali di Annibale, ma dopo averci passato una notte sopra ho capito che cosa intendesse dire, solo che non riesco a esprimerlo con delle parole intelleggibili.
Intanto il bungalow gonfiabile si è sgonfiato, l’aria si è rotta, si è rotta di starsene dentro al bungalow, ed è andata fuori a farsi un giretto per prendere un po’ di aria. Annibale mi ha subito ripreso, dicendomi che non si è rotta l’aria, ma Daria, che è uscita a prendere dell’aria. Si capisce così come mai lei dica di non salire, indispettita dalla presenza di Daria nel bungalow.
Però c’è un però, e adesso sono due, almeno quelli che ho scritto. Non salire perché è meglio di no è quasi tautologico, è un po’ come dire non salire perché non salire. Siamo di fronte a un giudizio analitico, che non arricchisce la nostra conoscenza, almeno non come farebbe un giudizio sintetico a priori.
Yes, we can, no, we Kant: lo spettro del filosofo di Königsberg aleggia in questa strofa, elevando quella che inizialmente sembrava solo una rottura di palle estiva fatta di note e parole a piccolo manuale filosofico concentrato in tre minuti e rotti di canzone. Capolavoro.