Questa volta non ti dico no (no, no, no, no, no)
Che poi ti prendi male (poi ti prendi male)
E ti fai mille pare
Fidati è solo un periodo, eh
Ti piace esagerare (ti piace esagerare)
E nel momento clue, tu mi butti giù
Questa volta non ti dico no, eh
Cirillo Lostrillo, critico delle rivista filosofica Metafisica urbana, ritiene questa canzone lo specchio (impolverato) della superficialità della società contemporanea, società in cui l’uomo non è più al centro del mondo, perché costa troppo, ma in un trilocale in periferia.
Al Lostrillo, mente acuta ma limitata, è sfuggito un concetto fondamentale da cui si sviluppa tutto il testo e che astrae la canzone dalla sua dimensione terrena e potenzialmente patogena.
Mi riferisco al ti prendi male, concetto che adesso vado ad analizzare in profondità e dal quale emergerò solo a notte fonda per non farmi multare da qualche vigile solerte. Si sa che, quando la ricezione non è buona, si prende male. “Pronto, pronto? Mi senti?”.
Niente, non sente. Non prende. Prende male. E allora prendete il baseball, uno sport che non avete nessuna speranza di capire se non siete nati e cresciuti negli Stati Uniti. Il ricevitore se ne sta lì, con il suo guantone, un guantone gigante, pronto a ricevere la palla scagliata a velocità supersonica dal lanciatore. Magari non è in giornata, la sera prima si è mangiato una fetta di panettone senza canditi con il mascarpone, e la prende male.
Ma, prendersi male? Dubito che l’autore si riferisca al difficile e quasi impossibile compito di lanciarsi e prendersi da soli, che richiederebbe un talento fuori dal comune. Ci si può lanciare in un’impresa folle, ma prendersi non fa parte del pacchetto.
Forse questo Ghali, diminutivo di Superghalifragilistichespiralidoso, intende dire che a volte la ricezione interiore non è ottimale. Viviamo sfasati. Bisogna imparare ad ascoltarsi.
D’altronde già lo diceva l’oracolo di Delfi, conosci te stesso. Se non lo fai, ti prendi male. O forse ti prendi male perché conosci te stesso. Un testo molto cerebrale che mette alla prova anche i neuroni più allenati.
Con una svista, però. E ti fai mille pare. A me pare che non sia come appare. Un refuso, lasciato per confondere il vero significato, un velo di Maja che io scopro per voi.
Il testo originale, che mi è stato procurato sottobanco da Antonio, il fruttivendolo di Barletta che abita al piano sotto a quello dove vivono i miei, recita E ti fai mille pere. La droga è una brutta bestia. Anche i refusi, ma parliamo di droga.
Perché si fa mille pere? Che poi mille mi sembra un numero esagerato. Anche fossero cento, troppe. E quindi? Sta tutto lì, in quel prendersi male, che porta, inevitabilmente, a farsi le pere.
Prendersi male e farsi male. L’approdo è il nichilismo, da cui solo la fede può salvarci. Ma la fede in che cosa? Nella tecnologia, perché se la ricezione è buona, non c’è problema a prendersi bene. Capolavoro.
Conobbi un Cirillo di Roma nel ‘96 nei pressi di Cambridge, seppur mi sfugga se quello fosse il suo nome o il cognome. Canticchiava spesso il ritornello “Solo una sana e consapevole libidine” di Zucchero, dell’87.
L’etimologia del nome ( o cognome ) riporta dal greco a “Signore” o “nobile” ( o “nubile signora per alcuni”).
A seguito dell’Avvento del Cristo l’han chiamato “Consacrato al Signore” ( o “Sul Sagrato con Signore, per altri ). Una versione, questa, del Cirillo, che al posto di starsene a Cambridge a bighellonare se ne stava beato fra le donne su di un qualche sagrato.