Prisecolinensinaiciusol – Adriano Celentano

Prisencolinensinainciusol
In de col men seivuan
Prisencolinensinainciusol ol rait

Uis de seim cius nau op de seim
Ol uait men in de colobos dai
Trrr ciak is e maind beghin de col
Bebi stei ye push yo oh

La prima volta che ho ascoltato questa canzone, ho pensato, bella la musica, ma il testo. La seconda volta che ho ascoltato questa canzone, ho pensato, bella la musica, e anche il testo non è poi così male. La terza volta che ho ascoltato questa canzone, ho pensato, la musica, sì, non è male, ma il testo. La quarta volta che ho ascoltato questa canzone ho pensato, possibile che non ci siano altre canzoni da ascoltare? Non l’ho più ascoltata per anni.

Fino all’altro giorno, quando, nel tentativo di togliere il tartaro dagli incisivi inferiori con una molletta per stendere i panni, ho perso l’equilibrio e sono andato a sbattere il gomito contro lo spigolo dell’armadietto. Un male pazzesco.

Mentre ero in preda alle sofferenze, la radio ha incominciato a diffondere le note di questa canzone. Mi sono fermato. Immobile. Un’antenna nell’atto di ricevere. Le parole. Mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall’altro. Ma quale era il senso? Lo avevo perso io o lo avevano perso le parole?

Sono andato a trovare il mio amico Riccardo Palindromo, che del palindromo non ha nulla a parte la sua testa, che vista da destra a sinistra o da sinistra a destra appare sempre come una testa enorme. Io e Riccardo facciamo lo stesso mestiere, anche se non ci è chiaro quale sia.

“Riccardo”, gli faccio, “tu te la ricordi Prisencolinensinainciusol?”. Mi ha fissato come se avessi un pezzo di prezzemolo tra i denti, il che non è possibile visto che con la molletta ho tolto tutto quello che c’era da togliere. “Ma quale, Prisencolinensinainciusol ol rait Uis de seim cius nau op de seim?” “Eh” “No, non me la ricordo”.

Riccardo è una brava persona, però secondo me dentro alla sua testa, ogni tanto, chiudono la baracca e chi si è visto si è visto. “Ma dai, quella di Celentano”. Mi ha fissato come se al posto della mia faccia ci fosse stato un dipinto di Hokusai. “Ah, sì, sì. Prisencolinensinainciusol”.

Allora gli ho raccontato un po’ il legame che ho con la canzone e gli ho chiesto se poteva aiutarmi a decifrare il testo, arenato com’ero in una spiaggia priva di coordinate semantiche. Si è acceso una sigaretta, ha tirato due boccate, poi se l’è infilata in bocca e ha annuito con il testone.

Prima che potessi chiedergli perché diavolo mangiasse le sigarette, ha iniziato a raccontarmi questa storia: “All’inizio il titolo era un altro. ‘Il conto per favore’. Parlava di questo tizio che pranzava tutti i giorni allo stesso ristorante, Da Mario pesce fresco, senza pronunciare mai una parola. Apriva la bocca solo per dire ‘Il conto, per favore’.

In realtà la canzone parlava della vita, che alla fine presenta sempre il conto, e quindi è meglio conservare le parole per quando serviranno davvero. Era stata scritta non da Celentano, ma da un venditore di polizze con un certo talento artistico, tale Erminio Sofficino.

Prima che la canzone venisse pubblicata, Erminio aveva avuto un terribile incidente. Mentre stava camminando sul marciapiede, a pochi passi da casa sua, era stato colpito in testa da un Devoto Oli, lasciato incautamente in bilico su un balcone del quarto piano da uno studente svogliato e un pelo deficiente.

Sembrava morto stecchito, ma in realtà aveva solo perso i sensi e subito uno schiacciamento delle vertebre cervicali. Quando li aveva ripresi, i sensi, nel reparto del pronto soccorso del Fatebenefratelli, e aveva soddisfatto il suo appetito con un piatto di carote bollite, patate lesse e una fettina di arrosto al forno, non riusciva più a ricordare nulla di tutto quello che era avvenuto prima dell’incidente.

Dopo aver scoperto che per vivere faceva l’assicuratore, aveva deciso di lasciare l’Italia e trasferirsi in Nepal per condurre una vita più semplice e a contatto con la natura. Il discografico che lo stava seguendo e che riteneva che sotto a quelle note e a quelle parole covassero le basi per un successo popolare, pensò sarebbe stata una buona idea affidare il pezzo a qualcun altro.

Fu così che, all’interno della casa discografica, si fece il nome del molleggiato. Ci fu un pellegrinaggio a casa sua per fargli ascoltare quello che avevano tra le mani. Celentano rimase in silenzio per tre minuti e cinquantaquattro secondi, quindi si alzò e disse, “È… È forte…”. Fece una pausa, una lunga pausa di una trentina di secondi e aggiunse “…però…”. Una pausa ancora più lunga. Troppo.

“Però?”, chiesero i discografici. Ma Adriano non rispose e i discografici se ne dovettero tornare in ufficio con la risposta sospesa nell’aria. Il giorno dopo Adriano si presentò in ufficio. “La incido”, disse, “ma il testo non è forte”.

Estrasse un foglio dalla giacca che depose sul tavolo. Erano le nuove parole della canzone. I discografici si immersero nella lettura. Le loro espressioni erano piuttosto eloquenti. Confabularono tra di loro per qualche minuto e poi uno, il più coraggioso, disse “Adriano, a essere sinceri, non ci abbiamo capito nulla”.

Adriano ancheggiò un po’ di qua e un po’ di là. “È inglese”. I discografici confabularono ancora e poi uno di loro, sempre il solito, aggiunse “Adriano, io parlo inglese, ma questo testo non mi sembra scritto in inglese”. Adriano ancheggiò un po’ di qua e un po’ di là. “E ma, mi sa che dovevi studiarlo un po’ meglio”. Riprese il foglietto e se ne tornò a casa. Il resto è storia.”.

Prende un’altra sigaretta e se la infila dentro all’orecchio. “Riccardo, va bene, ma ancora non ho capito cosa significhi il testo”. Mi ha fissato come se lo avessi improvvisamente colpito in testa con un cetriolo.

“Vedi, non hai capito una cosa, il senso qui te lo devi dimenticare. Non serve. Dimenticalo. A meno che” “A meno che?” “A meno che non decidi di ascoltare la canzone al contrario” “Al contrario?” “Sì. Se l’ascolti al contrario ne esce fuori una ricetta di Gordon Ramsey per cucinare una pasta alla carbonara. Una ricetta che, francamente, fa cagare”.

Con queste parole mi ha accomiatato. Fuori c’era un’aria frizzante. Ho ripensato al testo e a quello che mi ha detto Riccardo. Come potevo definirlo? Ci ho pensato e ripensato e poi sono giunto a un’unica, possibile conclusione. Capolavoro.