Quante vocali ha una canzone di Vasco Rossi?

Martedì scorso mi sono ascoltato tutte le canzoni di Vasco Rossi.

Era partita come una giornata no, con la sveglia che non aveva suonato, la colazione che mi era rimasta sullo stomaco e un alluce valgo che destabilizzava il mio senso delle proporzioni.

Appesantito, affaticato, mi sono sdraiato sul divano e mi sono accidentalmente appoggiato sul telecomando dell’Apple TV. Non chiedetemi percome e perché, ma è partita una compilation delle canzoni di Vasco Rossi. 182, una dietro l’altra, senza sosta.

Alla decima ora consecutiva di riproduzione ho incominciato ad allucinare. Mi trovavo in un universo di vocali, alcune mai viste, che mi sballottavano da una parte e dall’altra, e quando provavo a pronunciarle, dal nulla compariva una mano, deus ex machina, che mi solleticava le narici, costringendomi a starnutire.

Ritornato in me, mi sono alzato dal divano, sono andato in bagno a sciacquarmi la faccia e in quel momento, bling, l’eureka. Ero così entusiasta dell’idea che non riuscivo a fare altro che pensarci e compiacermene, un circolo vizioso che mi impediva di utilizzare l’asciugamano.

Per uscire dall’impasse, mi sono messo a chiamare alcuni colleghi che stimo per condividere con loro la mia idea. Sì, lasciatemelo dire senza finta modestia, la mia idea geniale. Anche loro l’hanno definita geniale, brillante, eccezionale. Tutti, tranne Agostino Marzolino, talebano dell’esegesi musicale, che l’ha definita la più grossa minchiata ascoltata negli ultimi vent’anni. D’altronde, non è che si può convincere chiunque.

E così che è nata la conferenza “Quante vocali ha una canzone di Vasco Rossi?”. Nel giro di un paio di ore sono riuscito a prendere le adesioni dei più grandi studiosi di Vasco Rossi, di professoroni della critica musicale e anche di un logopedista.

Il giorno dopo, alle ore nove e trenta in punto, nella sala conferenze dell’hotel Pino, un albergo a una stella non lontano da Zocca gestito dalla signora Adua, ho dato il via alla conferenza. La sala era in realtà un buco di venti metri quadrati, ma di necessità virtù.

Davanti a me un pubblico di dodici ragazzini, nipoti della signora Adua e nipoti degli amici della signora Adua, che mi fissavano sbadigliando. Dopo aver domandato come mai non fossero a scuola, ho iniziato il mio discorso inaugurale, un’orazione di circa due minuti che ha esaltato la figura del rocker, sapiente conoscitore dell’alfabeto italiano, comprese le lettere che nessuno ha mai capito a cosa servano, tipo la J o la Y.

Il primo relatore è stato Barbaro Sumero, logopedista, che ha esordito con la tesi secondo la quale Vasco Rossi soffrirebbe di una patologia otorinolaringoiatrica che lo costringe a mantenere il suono di una vocale fino a quando ha fiato nei polmoni. I ragazzini hanno apprezzato l’intervento, applaudendo e facendo grandi pernacchie.

Poi è venuto il turno di Esimio Professore, un esimio professore e studioso di Vasco Rossi che è convinto che il cantante faccia uso di sette vocali, in palese violazione della Convenzione di Ginevra, Ginevra Lapolla, una barista che si diletta a fare del cabaret il fine settimana e che ha formalmente vietato nei suoi spettacoli l’utilizzo di parole composte da più di cinque vocali differenti. I ragazzini sembravano annoiati, e Barbaro Sumero russava in mezzo a loro.

Il terzo relatore è stato Sandro Pausa, altro studioso del Vasco, che ha passato per lo più il tempo a lamentarsi del calo del suo desiderio sessuale. Tra un gemito e l’altro, Sandro Pausa ha sostenuto l’ipotesi secondo cui Vasco Rossi non faccia un uso delle vocali, ma un abuso che, prolungato negli anni, ha creato una dipendenza fisica e psicologica guaribile solo con un corso accelerato di polacco. Non ha avuto molto riscontro tra il pubblico, in particolare tra i nipoti degli amici della signora Adua, che ammazzavano il tempo attaccando le caccole sotto le sedie.

Gli ultimi, ma non ultimi, sono stati i gemelli Lino, Lino e Lino, degli assi della critica musicale e del fox trot. I due, giunti alla notorietà per aver scoperto che il nome di Eminem, letto al contrario, non significa niente, hanno affrontato la tematica esponendo una tesi rivoluzionaria: non solo Vasco Rossi fa uso di tutte le cinque vocali conosciute, ma ne ha anche inventate alcune come la eeeè o la oooò e la (suono impronunciabile) che enfatizzano il testo, spingono a iperboleggiare e riducono i grassi saturi.

Il loro intervento è stato accolto da un’ovazione: i ragazzini si sono alzati tutti in piedi ad applaudire; Barbaro Sumero, svegliato dal fracasso, ha fatto uno scatto da centometrista, dandosi poi alla fuga; Esimio Professore ha iniziato a fare capriole in avanti e Sandro Pausa ha sospirato, ripensando alla sua gioventù da giovane stallone della riviera romagnola. Sono momenti così che ti ridanno fiducia nell’umanità.

Alla fine è toccato di nuovo a me. Ho preso la parola per dichiarare chiusa la conferenza e ringraziare tutti quelli che erano intervenuti, pubblico compreso. Mentre mi prodigavo in salamelecchi ed elogi dei miei ospiti, ho notato un ragazzino con la mano alzata. All’inizio ho pensato si stesse stirando, o dovesse grattarsi la testa, ma poi ha iniziato ad agitare il braccio, così gli ho concesso i suoi due minuti di fama imperitura.

“Mi scusi, ma alla fine, quante sono le vocali di una canzone di Vasco Rossi?”

Dovevo aspettarmi una domanda del genere, essendo anche il titolo che avevo dato alla conferenza.

“Tante”.

Sarà stato il caldo, la tensione, oppure i tre chili di tagliatelle ingurgitate a pranzo, ma siamo tutti scoppiati a piangere. Ci siamo abbracciati, abbiamo cantato “Vivere” e poi ognuno è tornato sulla sua strada, consapevole di aver contribuito in maniera significativa al progresso dell’epistemologia lirica. Capolavoro.