Quanta strada aggio fatto
pe’ sagli’ sta furtuna
mmiez’ ‘a gente distratta
io nun ero nisciuno
quanta notte scetato
pe’ scala’ chillo muro
mmiez’ ‘e figli scurdato
aggi’ appiso ‘a paura.
Io aspettavo a te
crescevo dint’ ‘o sanghe
a’ musica vullente
…
Ciro, detto Etcìro per la salute cagionevole, era uno scugnizzo dei Quartieri Spagnoli. Rispetto a tutti gli altri ragazzini, era decisamente più maturo. Ciro aveva ottantacinque anni e da trentacinque girava i vicoli di Napoli in sella al suo Garelli Ciclone con la marmitta truccata.
Quando vedeva una macchina della polizia, si avvicinava. Se il finestrino era abbassato, colpiva il guidatore con la sua dentiera. L’atto di sfida glielo facevano pagare sempre caro, e così Ciro detto Etcìro aveva passato quasi tutta la sua vita a fare avanti e indietro da Poggioreale.
Un lavoro fisso non lo aveva mai avuto. Si era sempre arrangiato in qualche modo: aiuto meccanico, lavapiatti, pizzaiolo o insegnante di fisica quantistica. Sì, perché Ciro detto Etcìro si era laureato in fisica nel 1960, centodieci e lode, ma, a causa di allucinazioni dovute a un’indigestione di impepata di cozze, aveva lasciato perdere la carriera universitaria per diventare prete.
La fede, però, non l’aveva mai trovata. Così, si era lanciato in un’impresa che sarebbe entrata nella storia: il giro del mondo in triciclo. Sebbene avvantaggiato dalla piccola statura, un metro e trenta a riposo, lo sforzo era stato notevole.
Quando tornò, dieci anni dopo, ad aspettarlo non c’era nessuno, a parte un giornalista del Corriere della Sera che era lì solo perché aveva sbagliato strada. Nonostante ciò, il giornalista dedicò un articolo all’impresa, “Un pigmeo napoletano sulle orme di Phileas Fogg”.
Ciro fu travolto da un inaspettato successo, anche se le chiamate che riceveva erano principalmente di impresari che volevano assumerlo in qualche circo delle pulci. Fu allora che Ciro capì il significato delle parole Parerga e Paralipomena, comprò un Garelli e inziò la sua avventura di ragazzone della strada.
Anticipo la vostra domanda: cosa centra Ciro con il testo della canzone? Nulla, a parte l’ambientazione partenopea. Lo confesso, anche con l’aiuto di alcuni interpreti non sono riuscito a decifrare una sola parola di questo testo astruso.
Un mio amico napoletano, che mi ha insegnato a bere il caffè senza lo zucchero e il cucchiaino, mi ha detto che la canzone è un capolavoro.