Super – Gigi D’Agostino

Ladies and Gentlemen,
You are ready to party with Alba and Gigi Dag?

You are ready to Tarari and Tarara, Alba and GiGi Dag?
Tarari and Tarara, Alba and GiGi Dag …

Un Deux Trois, Tarari Comme Ci Comme Ca
One Two Three Tarari the place to be …

Ok, now put your hands in the air

Parla come mangi, recita un famoso detto popolare. Non so cosa avesse mangiato l’autore di questo testo, ma deve avere avuto perlomeno una digestione complicata.

Il punto non è fare l’analisi dei carboidrati o delle proteine, ma riconoscere una tematica che risuona, come un eco lontano, in questa canzone.

Siamo davanti a una versione moderna dell’oraziana carpe diem, quam minimum credula postero. In tempo di pandemia sembrava fantascienza, ma qui si parla di braccia che si alzano verso il cielo, a significare l’eternità dell’attimo che non può essere sprecata in videoconferenza, davanti allo schermo di un computer.

Si parla di gente ammassata, sudore, saliva, ascelle ammorbanti, situazioni potenzialmente letali che mettono in luce la brevità della vita.

E chi sono i traghettatori di questa massa festante, di questo blob che si riversa in pista trasformandosi in un grande dito medio puntato verso chi crede che la vita non vada vissuta, ma sopravvissuta? Alba e Gigi Dag, o Gad Igig e Abla se si legge da destra verso sinistra.

Se ne stanno dietro una console e, come dei pifferai magici, muovono questo assembramento da zona rossa a loro piacimento, tunz tunz, teste che si muovono, gambe che si muovono, braccia che si muovono anche se tendenzialmente è un su le mani, e se sono in serata partono pure con il gioca jouer e allora lì tutti a dormire, salutare e autostop e chi li ferma più.

L’apice però è dato dal Tarari, con l’accento sulla i, che al tre è così così e crea dei buchi spazio temporali che inghiottono qualsiasi tentativo di comprensione del testo.

Che è un peccato, perché non so voi, ma io le mani in alto (piene di gel disinfettante), anche durante la pandemia, già le avevo, e investito da una scarica di dionisiaco ero pronto a buttare fuori ettolitri di macello, da solo, con la mascherina, ma al Tarari e Tarara, ciapa questo e vai a… Capolavoro.

2 commenti

  1. Ciò che ignori, quell’uomo, è come i magutti bergamaschi stessero confabulando in lingua sanscrita, molto simile al dialetto bergamasco e bresciano.
    La parola che i signori ripetevano era “BALÓT” che, a dispetto delle similarità con l’italiano, non significa ballo, bensì significa sasso.
    Sasso, in quanto i signori bergamaschi ben sapevano che il tarari in sanscrito è una pietra piritica di ferro.
    Se avessi prestato più attenzione avresti inoltre notato che i signori muratori mostravano facce truci ed occhi malvagi, e ciò per due particolari ragioni. La prima: ogni minuto in coda per il magutto equivale a guadagno perduto, e di conseguenza assistiamo all’abbraccio nel momento del bisogno. La seconda: Sempre tarari può anche significare pupilla malvagia.
    Mi sorprende inoltre, quell’uomo, non abbia riconosciuto l’autista del furgone bianco, nonostante il tempo debba averci cambiati

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