Vattene amore – Amedeo Minghi e Pasquale Panella

Magari ti chiamerò
Trottolino amoroso e du du da da da
E il tuo nome sarà il nome di ogni città
Di un gattino annaffiato che miagolerà 

Il tuo nome sarà su un cartellone che fa della pubblicità 
Sulla strada per me ed io col naso in su la testa ci sbatterò 
Sempre là, sempre tu, ancora un altro po’ 
E poi, ancora non lo so

Il 1990 è stato un anno ricco di avvenimenti: Nelson Mandela viene liberato dopo 28 anni di carcere, il Milan vince la Coppa dei Campioni, mia nonna risolve l’eterno problema con le emorroidi e Vattene Amore si classifica terza a Sanremo. Gli autori, Amedeo Minghi e Pasquale Panella (da non confondere con Amedeo Panella e Pasquale Minghi, proprietari di un allevamento di pollame biologico, biosostenibile e biodegradabile nell’Oltrepò pavese) aprono il ritornello con un avverbio di dubbio, tipo se, forse, o magari. Magari ti chiamerò, ma forse no. Perché?

Un dubbio quasi cartesiano che lascia l’ascoltatore perso, a brancolare nel buio della notte, col rischio di incappare in una di quelle cacche giganti di cane che dopo hai voglia a strusciare la suola delle scarpe sul marciapiede. E allora gli autori, una mano, all’ascoltatore brancolante, gliela danno. Ecco la luce, seguila.

Magari ti chiamerò trottolino amoroso. La vera domanda, perciò, è: chi, nelle sue piene capacità di intendere e volere, vuole essere chiamato trottolino amoroso? Nessuno, secondo un’indagine condotta nel 1991 su un campione scelto a caso tra i famigliari di un’agenzia di ricerche e analisi di mercato. Gli intervistati ritenevano che solo un giudice potesse infliggere, come pena, un tale epiteto mostruoso. Adesso iniziamo a capire meglio la profondità di quel magari: gli autori non sono sicuri che l’oggetto di questo amore non possa reagire al trottolino amoroso colpendo l’innamorato/innamorata/lei/lui/loro con un’incudine. In un mondo civile sono cose che non si fanno, con tutto quello che costano i dentisti.

A complicare lo scenario ecco arrivare, come un fulmine a ciel sereno (ricordo a tutti che, dal punto di vista statistico, è molto più probabile venire colpiti da un fulmine a ciel sereno che riuscire a vincere una mano a scopa contro Cesare e Bombolo, due tromboni ultraottantenni che passano le giornate a bestemmiare ai tavolini del bar sotto casa mia) il du du da da da. Il du du da da da è chiaramente un rafforzativo. Ti chiamo trottolino amoroso e du du da da da. Avrebbero potuto dire, ti chiamo trottolinissimo amorosissimo, però così si sarebbe allungata una canzone che forse era meglio cercare di tenere un po’ più corta. E se fosse stato du du du da da? Il suono onomatopeico, a seconda di quale è, ha il potere di calmare o innervosire gli animi, e quindi, chi lo sa.

Ma la storia non si fa con i se e con i ma, e nemmeno un buon risotto mantecato al parmigiano. Arriva quindi il turno degli indovinelli. Qual è il nome che è il nome di tutte le città e di un gattino annaffiato che miagolerà? Alcuni studiosi dell’anormale di Pisa hanno suggerito Gelsomina, ma nessuno ha mai capito il perché. Sottolineiamo la pratica inutile dell’innaffiare il gatto, che non essendo una pianta, non cresce.

C’è del graffitismo in quel nome scritto sul cartellone pubblicitario. Sebbene ne capiamo le esigenze artistiche e sociali, per principio siamo contro a qualsiasi scritta obbrobriosa che deturpa il decoro della città, specie trottolino amoroso. Gli autori non fanno passare un messaggio felice, e ce ne dispiace. La persona che va a sbatterci la testa perché cammina con il naso in su è un chiaro riferimento a Talete che cadde in un pozzo. Per Talete tutte le cose erano acqua, quindi questa tesi filosofica si riverbera nel testo. Ne consegue che, se tutto è acqua, dire trottolino amoroso diventa molto più complicato, una prova di ardimento non indifferente coniugata a una tecnica di dizione eccelsa. Le ultime due righe, senza un apparente senso, ne nascondono invece uno più profondo, il principio socratico del so di non sapere elevato a bel canto. Capolavoro.