Oggi vorrei parlare di capelli. Quanti capelli ci sono al mondo? Non lo so, e non credo nessuno li abbia mai contati. Di sicuro sono abbastanza per ricoprire la maggior parte delle quasi otto miliardi di teste attaccate ai colli di questo mondo.
Forse non è l’argomento più interessante di cui si possa parlare. D’altronde, se i capelli fossero così interessanti, se ne parlerebbe almeno dal barbiere, che su quello si è costruito un lavoro. Invece, lì si parla di tutto tranne che di capelli. Si lavano, si pettinano, si tagliano, ma non si parla di capelli. Come la prima regola del fight club.
Però, ce se ne può lamentare. Non dal barbiere, se no si offende, ma non è colpa mia se, quando gli chiedo una spuntatina, lui parte con la mietitura, falciando tutto quello che trova attaccato al mio cuoio capelluto. Uno scalpo da quaranta euro.
Con i lamenti sui capelli ci si potrebbe costruire il ponte sullo stretto di Messina. E di che cosa ci si lamenta, quando ci si lamenta dei capelli?
Intanto del tempo, perché del tempo ci si lamenta sempre, non è mai abbastanza, e quando è abbastanza, piove e rovina la piega appena fatta. Ci sono tre tipi di lamentele. Le doppie punte. Le doppie punte sono una delle piaghe (avrete notato che i parrucchieri, davanti alle doppie punte, non fanno una piega) che Dio mandò quando il faraone Ramses non voleva dare la libertà agli ebrei.
La seconda lamentela? La caduta dei capelli. Niente spaventa di più gli uomini che la paura di perdere i capelli, a parte il terrore di perdere il pene, ma per quello bisogna essere veramente distratti. L’alopecia necessita di una vera e propria elaborazione del lutto, un periodo da concedere all’uomo per abituarsi alla nuova immagine del sé e andare a scorrazzare in giro con la Porsche appena acquistata.
La terza lamentela credo appartenga solo al sottoscritto o a qualche altro ominide dalla chioma simile: l’impossibilità di pettinarsi. Ho sempre avuto un enorme rispetto per la spazzola, fin da quando ero piccolo. La osservavo da lontano, ammirandone gli effetti taumaturgici. Come il lazzo intorno al cavallo ruspante, la spazzola, appena toccava la testa di mia madre o di mio padre, domava la zazzera, trasformando l’implasmabile in Golem civili e pronti ad affrontare il mondo esteriore.
Per me non è mai stato così. Neppure adesso. Vado in bagno, prendo a bastonate i capelli, li bagno, ci spruzzo sopra qualsiasi cosa, poi esco per sentire mia moglie che mi domanda ‘Scusa, potresti pettinarti prima di uscire?’.
Io, però, non conto più nulla. Con tre figli è inutile che rimugini sulla mia capigliatura. Ora rimugino su quella dei miei figli. I primi due hanno dei capelli piuttosto dritti. Tendenti al liscio. Quelli di A. sono abbastanza grossi, ma anche abbastanza dritti. D. ha il capello spaghetto, che dopo dodici minuti scuoce. Non esiste niente di più dritto, neanche il mio pene dei bei tempi andati, che pendeva sempre un po’ a sinistra, dubito per motivi politici.
L’ultimo, B., attaccata alla testa ha un un bosco verticale, una macchia mediterranea che ricorda a tutti le sue origini e rilascia ettolitri di ossigeno durante il giorno. Bravo, almeno uno con i capelli come papà.
Se ne sono accorti tutti in famiglia. Certo, non era una di quelle scoperte che necessitano particolari abilità tecnico scientifiche, però sono anche quelle cose che possono passare inosservate fino a quando, un giorno, qualcuno si fa quelle domande del tipo, ma com’è che mio figlio ha gli occhi verdi che in questa famiglia abbiamo stirpi di occhi castani dal pleistocene?
Così, mentre preparavo il pranzo e intanto mi drogavo ingurgitando fette su fette di quel formaggio dolce con panna di Lucerna, il mio primogenito, il mio amato primogenito, dimostrando spirito di osservazione, doti analitiche e un’intelligenza che già supera, e di molto, quella del padre, mi si è avvicinato, domandandomi “Papà, ma B. ha i capelli dondolati?”.
Ce li ha? Mi sono preso un attimo per indagare nei meandri del mio sapere, e ho risposto in maniera tipicamente ebraica con una domanda alla sua domanda, “In che senso?”. Allora A., il mio primogenito che darà vita a una progenie di nipoti e pronipoti che porteranno gloria al mio cognome e dissiperanno fino all’ulltimo franco che ho risparmiato, mi ha fatto il gesto con il dito, il dito che si arrotola, accompagnando il gesto con la sua voce un tantino sopra i decibel consentiti nell’appartamente, “Dondolati, così”, indicando poi la nuca del fratello, ricoperta di ricci provocati probabilmente dal dondolio dell’asse terrestre.
Siccome non sono uno stupido (lo sono solo in potenza, ma a volte è difficile notare la differenza), ho finalmente capito. “Si dice ondulati, non dondolati”. Tronfio per la risposta sagace, mi sono infilato un’altra fetta di formaggio, andando in overdose e iniziando a muggire degli jodel di pura estrazione elvetica.
A quel punto B. ha iniziato a dondolare, prima lentamente, poi sempre più velocemente, e mentre si dondolava i suoi capelli si sono trasformati in un covo di serpi sibilanti. Una Medusa di settantacinque centimetri di altezza.
Pur sdraiato per terra, con la bava alla bocca e due fette di formaggio dentro le orecchie, ho trovato la forza di strisciare fino al bagno, aprire uno dei cassettoni e cercare a tastoni la spazzola. Una volta impugnata, ho afferrato con l’altra mano uno specchio da toiilette e ho notato una marea di punti neri sul mio naso. Devo nasconderli in qualche modo, altrimenti mia moglie me li schiaccia tutti.
Mi sono avvicinato al piccolo B., che con il suo dondolio aveva trasformato l’appartamento in una nave in balia della tempesta. Raggiunto un equilibrio esteriore, ma non interiore, cosa che mi impedisce ancora di assurgere al ruolo di entità soprannaturale da venerare, sono riuscito a inquadrare mio figlio nella piccola cornice dello specchio e, a quel punto, ho sferrato il mio attacco con la spazzola, pettinando in su e giù, a destra e a sinistra.
Lo sforzo è servito a ben poco, perché la spazzola si è incastrata in quella serpaglia che cosparge la sua nuca, sparendo nel nulla. Sconfitto, sono andato a sedermi in un angolo del divano, quello dove posso stendere le gambe, e ho perso i sensi.
Non li ho più ritrovati, e non importa, perché ho capito che se tuo figlio ti dice che i capelli sono dondolati, be’, allora lo sono.