Che cerca, non lo trova

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti (nell’ottobre del 2021) è puramente intenzionale.

Ci sono cose che sono fatte per non essere trovate. Prendete la verità. Non quella che io stabilisco in casa mia, assoluta e incontestabile, e che per diventare esecutiva necessita dello sigillo papale di mia moglie, ma l’altra, quella inafferrabile e su cui i filosofi si sono costruiti una professione. Mica si fa trovare, la verità. Sembra che ce l’hai lì, a portata di mano, nascosta nei rotoli di ciccia della pancia, e invece è già andata a nascondersi da un’altra parte.

O gli occhiali di mia mamma. Da quando è andata in pensione, occupa metà del suo tempo a cercare i suoi occhiali: sono quasi sempre sotto al suo naso, ma ovviamente non li vede, e per questo ha bisogno di trovare gli occhiali. Un circolo vizioso.

Come non citare i calzini spaiati. Li lavi, e dalla lavatrice ne esce uno solo. Cosa è successo all’altro? Milioni di uomini e donne hanno provato inutilmente a rispondere a quella domanda. La teoria dei quanti potrebbe portare un po’ di luce su questo mistero: il calzino spaiato c’è e non c’è, ma deve essere compreso in termini relazionali. Comunque la si veda, un mondo con i calzini spaiati non può essere, come sosteneva Leibniz, il migliore dei mondi possibili.

Ci sono poi quelle cose che sono facili da trovare. Per esempio, gli idioti, il bagno in fondo a destra, due etti di bresaola tagliati belli fini e i pezzi di lego dei bambini, infilati anche sotto al cuscino.

E poi c’è mio figlio D., che vive in un mondo parallelo, dove le leggi della logica aristotelica e booleana, dopo un colpo di stato portato avanti da un esercito composto da dinosauri e playmobil, sono state temporaneamente esiliate.

Eccolo in cucina, mentre parla con un serpente, erutta bombe dalla bocca e ascolta il suo amico immaginario, credo un coniglio, conosciuto come Patpuding, che gli spiega che, anche se è piccolo e i suoi genitori non ci sono più, non è un problema perché sa come farsi da mangiare e accendere la televisione.

Bene. Improvvisamente il suo viso, così gioioso e foriero di urla del settimo grado della scala Richter, si incupisce. Inscurisce. Rabbuia. Una fotocopia del mio. La cosa non sfugge alla mamma (la sua, la mia sta ancora cercando gli occhiali) che, preoccupata, gli si avvicina e cerca di capire il motivo della perturbazione emotiva.

La colpa è della giraffa, il peluche, perché una vera, qui in Svizzera, non ci sta: i soffitti sono alti due metri e trentasette e le toccherebbe rimanere tutto il giorno con il collo piegato all’ingiù, un’attività sconsigliata da molti veterinari. Una domanda logica sarebbe, dove è finita la giraffa?, ma bisogna ricordarsi dell’universo parallelo. Meglio non domandare.

“MAM-MA, io lo so dove è la giraffa! Solo che non la trovo!”

La giraffa c’è e non c’è, è lì, ma non è lì. Nel momento in cui D. la osserva, non c’è. Appena distoglie lo sguardo, compare il papà che, vestito come uno speleologo, si avventura sotto letti e divani alla ricerca del pupazzo esperto di mimetismo quantico. Lo trovo, ma non lo trovo. Lo cerco, ma non lo cerco. E questo post, lo sto scrivendo, e non lo sto scrivendo.

Perciò, se vi osservo, lo state leggendo, e se non vi osservo, non lo state leggendo e allora ho capito tutto, ho capito che c’è un filo che unisce la meccanica quantistica, il gatto di Schrödinger e pure la giraffa di Schrödinger che è lì ma non si trova e la storia della capra sopra la panca e sotto la panca che canta o crepa a seconda di come la si osservi. Solo che non è un filo logico, ma è un filo quantico. Un filino.