Febbraio 2021
Domenica scorsa siamo andati a Pfäffikon, ridente località a pochi chilometri da Zurigo che si affaccia sull’omonimo lago. A causa del Covid è vietato pronunciarne il nome, per evitare di ricoprire di sputi chiunque si trovi nel raggio di cinque metri.
Una volta parcheggiato, ci incamminiamo verso quel che resta del fortino di Irgenhausen, un castrum romano edificato tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. Il cielo è terso (primo, secondo e terso, la scala di qualità del firmamento) e, sotto un caldo sole di fine inverno, iniziamo la nostra passeggiata. Lentamente. Quando veniamo superati da una coppia di mummie novantenni munite di bastone, capisco che stiamo procedendo troppo lentamente.
Giunti a destinazione, entriamo dentro le mura, dove c’è già un sacco di altra gente che sembra abbia avuto la stessa nostra idea. Maledette guide, turismo di massa e la verruca plantare che non mi dà tregua.
Al centro dell’antico castrum, nel posto più protetto, una griglia. Non so se la funzione principale del castrum fosse proteggere quella griglia, che sembra di fattura piuttosto moderna, ma se al posto dei romani ci fossero stati gli svizzeri, chissà.
I bambini, dopo aver mangiato qualcosa, incominciano a correre, saltare e scendere dalle mura, urlare, menarsi e dimenarsi. Devo ricordare a mia moglie di smettere di farcire i panini con la cocaina. Io mi siedo un momento e, per una famosa legge fisica che purtroppo, non avendo studiato abbastanza ai tempi del liceo, non ricordo né capisco, non riesco a spostare il mio baricentro di neanche mezzo centimetro.
Mentre mi crogiolo al sole, cercando di sciogliermi come un pezzo di raclette, noto con la coda dell’occhio (che quando è felice, scodinzola) del movimento. Mi volto e, alla mia destra, scorgo due energumeni che percorrono il sentiero che porta dentro al castrum. Non credo siano umani. Sembrano dei menhir dotati di movimento. Anche le loro teste hanno qualcosa di poco umano, due palle da bowling appiccicate a dei colli taurini. Le facce, che non esprimono particolari doti intellettive, sembrano state disegnate con dei tratti miniaturizzati che poco si addicono all’enormità del tutto. Si siedono su una panchina, tirano fuori delle bibite e se ne stanno lì, a bere, in silenzio. Senza scambiarsi una parola.
Fino a quando D., con in mano dei rametti che usa come pistole, non si para davanti a loro e papapapapa, vi uccido tutti! Che fegato che ha, diavolo di un nanetto suicida. Uno dei due golem chiude il badile attaccato all’avambraccio e risponde al fuoco nemico, tatatatata. Mi alzo per portare via D. prima che lo griglino e ritorno a sedermi.
Passano pochi secondi e uno dei due titani produce un rutto così forte che la fiamma della griglia rischia di spegnersi. Si volta, guardandosi intorno, con quegli occhietti incastonati dentro a un ferro da stiro, per capire se qualcuno lo abbia per caso sentito. Anche io mi guardo intorno, per capire se ci sia qualcuno che NON lo abbia sentito. E mi spingo con lo sguardo lontano, giù, fino al paese, dove vedo del movimento, principalmente tellurico.
Alla fine la coppia di amici decide di proseguire il cammino e se ne va. Li vedo scomparire all’orizzonte, mentre con i loro testoni schermano il sole, riproducendo per pochi istanti un eclissi totale.
Chissà cosa accadrebbe se loro provassero a pronunciare il nome Pfäffikon?