Mi ricordo, tempo fa, discussioni, trasmissioni, titoli, articoli e delle pantomime su quel neologismo inventato da Matteo, un bambino al tempo di otto anni della provincia di Ferrara. Petaloso. Discussioni, trasmissioni, titoli, articoli e pantomime come al solito abbastanza inutili, con la solita divisone ultras tra accesi detrattori e accaniti sostenitori. “Chi non salta petaloso è, è!”. “PE-TA-LO-SO, PE-TA-LO-SO!”. Una noia. Sbadiglio ancora adesso. Io lo trovo un aggettivo bellissimo. Se per altri non lo è, va bene uguale. Non sono costretti ad usarlo. Neanche io l’ho mai usato, ma non è questo il punto. Non ho bisogno di leggere chilometri di opinioni e commenti. Nessuno credo ne abbia bisogno. Non è come l’acqua, il cioccolato fondente o il pisolino post pranzo.
C’è però un altro neologismo che trovo altrettanto bello. Anzi, molto più bello. Anche qui non voglio discussioni. Decido io, in quanto monarca e dittatore illuminato di questo blog. L’ha inventato mio figlio D., quindi forse non è più bello, perché ogni scarrafone è bello a mamma sua e quindi anche ogni neologismo inventato da ogni scarrafone è bello a mamma sua. Io sono il papà, e non la mamma, ma vale uguale. La parola è Löffelino (con la ö che si pronuncia all’incirca come la oe francese, bocca a culo di gallina) ed è una combinazione tra il tedesco e l’italiano. Visto che i miei figli sono trilingui, a volte creano quesi impasti sonori che possono essere compresi solo dopo aver sbattuto violentemente la testa contro un vocabolario, uno qualsiasi. In questo caso abbiamo Löffel, ovvero cucchiaio in tedesco, con l’aggiunta del suffisso diminutivo italiano ‘ino’. Löffelino sarebbe quindi il cucchiaino. Bello. Con una sua logica. Solo che la prima volta che l’ho sentito, non avevo idea di cosa stesse parlando.
D.: “Papà, mi prendi un Löffelino?”
Io: “Come?”
D.: “Un Löffelino”
Mi sono guardato intorno, cercando delle conferme che, come al solito, non ho trovato. Così ho iniziato a esplorare la cucina come un segugio al seguito della preda, aprendo cassetti e mensole a caso. Ho pensato, non è che è come il trucchetto della cadrega, che adesso qualcuno entra in casa e mi rispedisce direttamente in Italia infilandomi come un pacco dentro a un Cisalpino in ritardo di tre ore e con i bagni non funzionanti? Sarebbe stato un finale veramente triste.
“Che cos’è un Löffelino?”, gli ho domandato, ormai disperato, con la voce quasi rotta dal pianto.
D.: “Per mangiare. Un Löffelino, PA-PÀ”. Con tono spazientito. D’altronde, non è che capita a tutti di avere un papà scimunito.
A quel punto mia moglie, che aveva capito che mai avrei capito (è importante avere qualcuno in famiglia che conosca i tuoi limiti), è intervenuta in mio aiuto, ha aperto il cassetto delle posate tirandone fuori un cucchiaino. “Il Löffelino”, ha detto, porgendolo a D. “Ah, il Löffelino!”, ho esclamato, come per sottolineare l’ovvio. Per gli altri. Poi mi sono taciuto, per due giorni, pensieroso.
L’Accademia della Crusca non l’ho contattata. Più che altro per pigrizia. In realtà non voglio far registrare la nuova parola, ma una domanda ce l’ho: il Löffelino può essere petaloso?