A Bergamo e provincia parlano un dialetto incomprensibile. Famoso l’episodio in cui una comitiva di turisti giapponesi si intrattiene per un’ora in una conversazione con un allevatore di un piccolo paesino delle valli bergamasche prima di realizzare che, sebbene i suoni che escono dalla bocca del valligiano assomiglino in maniera impressionante alla lingua nipponica, non sono riusciti a capire nulla.
La vicenda ha ispirato la pièce teatrale Porta dré negot! Mou ichido itte kudasaimasen ka?, un’opera drammatica in tre atti che narra del felice matrimonio tra un muratore bergamasco e una campionessa di judo giapponese, 40 anni di amore senza mai comprendere nemmeno una solo parola tra tutte quelle che si sono scambiate.
Il critico Shimu Nito l’ha definita ‘un capolavoro di nonsense e dittonghi impronunciabili che si inserisce nella tradizione del teatro dell’assurdo, superandola fino alla noia’.
Bergamo è anche conosciuta per i natali che ha dato a centinaia, migliaia, milioni di muratori che hanno costruito e ristrutturato tutte le case e gli appartamenti del nord Italia. Lavoratori con dei badili al posto delle mani, gente che si alza alle quattro del mattino, riempie lo zaino di panini alla mortadella, parte in trasferta e in pochi minuti tira un su un palazzo di dieci piani.
All’interno di questa categoria se ne trova un’altra, più ristretta, esclusiva, il reparto speciale dei manovali in cui si entra solo dopo aver superato delle prove estenuanti. Selezionati tra i migliori muratori bergamaschi, i miratori (questo il loro nome) devono sottoporsi a una settimana di esercitazioni continue durante le quali vengono testate e portate all’estremo le loro capacità psicofisiche e linguistiche.
Sette giorni di deprivazione del sonno, costretti ad affrontare prove terribili, tipo obbedire agli ordini di un ufficiale che urla solo in dialetto bresciano o non pronunciare mai la parola pota per più di due volte nella stessa frase.
Solo due su venti terminano la settimana di prove e solo uno dei due diventa miratore, perché l’altro alle 4 smonta e sale in macchina altrimenti trova traffico sulla Milano Venezia.
Il miratore è il cecchino dell’edilizia: prende il mattone e, mentre un suo collega applica la malta, da una distanza di trenta metri lo lancia, facendolo posare perfettamente accanto al mattone lanciato solo pochi secondi prima. Due anni di addestramento concentrati in un gesto tanto elegante quanto di difficile esecuzione.
I miratori rappresentano un enorme vantaggio competitivo per le imprese edili per le quali lavorano: infatti, standosene comodamente seduti a casa loro (una pantomima orobica dello smart working), possono contribuire alla costruzione di due case in contemporanea, avendo la possibilità di lanciare simultaneamente in due direzioni opposte, anche a distanza di chilometri.
Gli umarell in visita a questi cantieri devono munirsi di casco onde evitare l’ondata di commozioni cerebrali del 2014 che riempì gli ospedali lombardi di anziani che cantavano osceni cori da osteria e covavano uova facendo coccodè.