“Allons enfants de la Patrie, /Le jour de gloire est arrivé!”. Così cantavano, garruli, i giocatori della nazionale francese al’Olympiastadion di Berlino, prima che la testa di Zidane venisse usata come ariete per cercare di aprire in due Materazzi.
Si sa come è andata, i rigori hanno decretato la sconfitta dei cugini transalpini e l’indubbia superiorità della cucina italica.
Tutto questo, però, non toglie nulla alla grandeur francese, a un popolo abituato a trionfi coloniali, culturali, sportivi e soprattutto linguistici: vive la France, vive l’ordinateur e vive anche il Tartufon che c’est bon.
Con gente così avvezza a trionfare, la decisione di Napoleone Bonaparte di creare un parco del trionfo sembrò la ciliegina sul Tartufon.
L’inaugurazione sarebbe dovuta avvenire nel 1815 nei pressi di Dijon, una località famosa per la mostarda che, una volta ingurgitata, impedisce di pronunciare metà delle lettere dell’alfabeto. A causa dell’esilio di Napoleone a Sant’Elena si decise di posticipare di circa 180 anni.
Così, nel 1995, a Pijon, paesino sconosciuto a sedicimila barattoli di distanza da Dijon, il sindaco Bertrand Il grand (da non confondere con Bertrand Lagrand, un uomo che non riuscì mai a capire la differenza tra il e la), conosciuto in alcuni locali come il grand Bertrand, tagliò il nastro rosso con una katana giapponese e inaugurò il parco.
Appena il nastro cadde, tagliato in due come il tizio che lo teneva in mano, il sindaco di Pijon fu portato in trionfo da una schiera di energumeni che fecero il giro di tutto il parco intonando la marsigliese e cori da stadio inneggianti Bertrand Il grand.
Dal 1995 a oggi sono stati portati in trionfo, al costo di un biglietto del cinema, milioni di visitatori. Tuttavia, a causa dell’avidità dei gestori del parco, i portatori sono ancora gli stessi, ormai zoppicanti per la sciatica e senza più un filo di voce: i trionfi sono ormai stati sostituiti da una marea di inevitabili tonfi.