Il pettomane

Se vi siete mai iscritti a una palestra, sarete venuti a contatto con i diversi personaggi che la frequentano: c’è il narcisista, che rimane ore in ammirazione della sua immagine riflessa nello specchio, fino a quando qualcuno non si decide a chiamare un’ambulanza; l’urlatore, che appena solleva mezzo chilo si esibisce nel richiamo della foresta, attivando l’unità antiterrorismo e la curiosità dei macachi dello zoo più vicino; abbiamo il rimorchiatore seriale, il cui unico fine è preservare il ciuffo e lanciarsi nel rituale dell’accoppiamento; infine l’intellettuale da cyclette, che tra uno sbuffo e l’altro sfoglia la Gazzetta dello sport e si dedica alla formazione del fantacalcio.

Quello su cui oggi vogliamo concentrarci, però, è una figura più rara dell’habitat del fitness, recentemente immortalata nel documentario La palestra e l’involuzione della specie, narrato da David Attenborough.

Stiamo parlando del pettomane. Il soggetto non è interessato a uno sviluppo armonioso del corpo, concentrato com’è sull’unica fascia muscolare per cui ritiene degno vivere e allenarsi: i pettorali.

Dopo un riscaldamento di circa trenta secondi, che prevede il gesto di allacciarsi le stringhe, il pettomane prende possesso della panca piana per le successive due ore. Piramidali ascendenti e discendenti per modellare il proprio petto a immagine e somiglianza di alcuni edifici di Zahad Hadid.

Inspira ma non ispira ed espira con furore, tant’è che a volte viene scambiato per il condizionatore e costretto a fare una pausa forzata per la sostituzione del filtro.

L’ambiguità finisce nell’atto dell’espirazione, che non avviene per via nasale: l’aria, infatti, viene espulsa con violenza verbale, direttamente dal suo didietro. Per evitare di essere sparato fuori dalla stanza come un proiettile esploso dalla canna di un fucile, il pettomane deve ancorare la panca al terreno.

Al culmine dei suo sforzi, è stato più volte riscontrata un’inversione del campo magnetico terrestre.