Il ragnostico

In camera mia vive un ragno. Se ne sta lì, tutto solo, sul soffitto, accanto alla finestra, a tessere la sua ragnatela.

A me non piacciono i ragni, mi hanno sempre fatto un po’ schifo. Non schifo come me ne fanno gli scarafaggi. Quelli sì che fanno schifo, anche se non ne schiaccio mai neanche uno perché ho sentito una storia di una persona che, una mattina, si è svegliata e ha scoperto di essere diventata uno scarafaggio.

E non mi fanno schifo come i serpenti, anche se di serpenti non ne ho mai incontrato neanche uno. I serpenti mi fanno schifo a priori.

E non mi fanno schifo come i capelli che intasano il buco di scarico della doccia, che però non si muovono, non pungono né mordono. Se lo facessero, sarebbero allora serpenti, che mi fanno schifo a priori.

A pensarci bene, non è che i ragni mi facciano poi così tanto schifo. Anzi, forse non me ne fanno per niente. 

Insomma, un pomeriggio, dopo aver sbattuto la testa contro una delle credenze in cucina che avevo lasciato aperta, mi viene un gran mal di testa. E anche un gran bernoccolo. Così, vado in camera a sdrairmi un po’ e sto attento a non sdraiarmi sul bernoccolo che se no sono dolori.

Mentre me ne sto sdraiato a far niente, che non è poi così male, qualcuno mi rivolge la parola. 

“Mi scusi, lei crede in Dio?”

Vivo da solo, la cosa mi è sembrata un po’ strana. Mi guardo intorno, ma non vedo nessuno. Allora penso che, forse, il colpo in testa è stato veramente forte. Siccome sono un tipo apprensivo, mi metto a fare il numero del mio medico, giusto per essere tranquillizzato.

L’idea di dover morire per aver sbattuto la testa contro una credenza non mi piace affatto. Mi pare una morte poco onorevole. Ma non faccio a tempo, perché sento di nuovo quella voce. 

“Dico a lei!”
“Chi parla?”, domando. 
“Sono Beppe”
“Beppe?”
“Beppe il ragno”
“Beppe il ragno?”
“Quassù. Mi vede?”

In effetti, quando alzo lo sguardo, vedo l’aracnide agitarsi. D’altrocanto, non mi risulta che i ragni parlino. A meno che io non sia pazzo. In quel caso i ragni parlano. E possono anche ballare. Questo ragno, però, parla e basta. Forse non sa ballare. O forse non sono abbastanza pazzo.

“Mi scusi, ma non si è mai sentito di un ragno che parla. Figuriamoci di un ragno con un nome”
“Lei è male informato. I ragni parlano eccome, basta saperli ascoltare. E io mi chiamo Beppe. Mio nonno si chiamava così, mio padre si chiamava così. La mia famiglia è una lunga discendenza di Beppe”

Quindi sono pazzo, anche se il ragno non balla. Non avendo di meglio da fare, proseguo la mia conversazione. La mia prima conversazione con un ragno.

“Dovrebbe far pulire un po’ questi soffitti”
“Non ho capito. Potrebbe parlare un po’ più forte.”
“Qui, vede”, fa, indicandomi con le zampe, “proprio qui, di fianco alla mia ragnatela, è pieno di polvere. Faccio fatica a respirare. Poi russo. Non le dà fastidio, di notte, il mio russare?”
“Veramente non me ne sono mai accorto”
“Mhh. Lei crede in Dio?”
“Non saprei”
“Ci crede o non ci crede?”
“Scusi, Beppe, ma a lei cosa importa? E poi, da quando i ragni si interessano alla religione?”
“Ha mai conosciuto il mio amico, il ragno talmudista?”
“Eh?”
“Niente. Vede, io sono molto interessato alla sfera religiosa, così come lo era mio padre, mio nonno, il mio bis nonno e così via. Siamo della specie dei ragnostici”
“I ragnostici?”
“Sì. Non ci esprimiamo sull’esistenza o meno del divino perché la conoscenza dell’assoluto è qualcosa che ci è precluso. Ci interessa, ma non l’afferriamo”
“Ah. E quindi su cosa vi esprimete?”
“Sui soffitti polverosi, per esempio. Lei crede in Dio?”
“Può darsi”
“Può darsi di sì o può darsi di no?”
“Se i ragni possono parlare, allora può anche essere che Dio esista”
“Non mi pare una prova schiacciante. Teologicamente irrilevante. Filosoficamente ridicola. Fuma?”
“No”
“Peccato, avrei voluto accendermi una sigaretta”
“Adesso non mi dica che fuma pure!”
“Non fumo, però mi sarebbe piaciuto provare. Cosa si è fatto in testa?”
“Solo una botta”
“Fa male?”
“Se lo tocco”
“E perché dovrebbe toccarlo?”
“Infatti non lo tocco”
“Allora non le fa male?”
“No, non mi fa male”
“Dunque lei non è una persona religiosa?”
“No, non lo sono”
“Però non sa se Dio esista o meno”
“Esatto”
“Quindi lei è come me. Non si esprime”
“Non saprei. Non ci ho mai pensato, in realtà”
“Ce l’ha un umidificatore?”
“Per cosa?”
“Per l’aria. È un po’ secco qui. Anche la mia ragnatela, vede, non è elastica come dovrebbe. E poi mi aiuterebbe con il russare”
“Guardi che lei non russa”
“No, russo. A volte mi addormento e mi risveglio da quanto russo”
“Da quanto vive in camera mia?”
“Saranno tre o quattro settimane. Bella zona questa. L’appartamento è il suo?”
“Sono in affitto”
“Costa molto?”
“In linea con i prezzi di questa zona”
“Se non ha i soldi per pagare qualcuno che le pulisca a dovere i soffitti, è evidente che paga molto. Troppo. Certo, se esistesse Dio…”
“Cosa?”
“No, dicevo, se esistesse Dio…”
“Che cosa?”
“Ecco, se esistesse… Mi scusi, ma il suo bernoccolo è davvero enorme. Sicuro di stare bene?”
“Non lo so, sto parlando con un ragno. Me lo dica lei?”
“Non sono un dottore”
“Stavo appunto chiamandone uno, prima che mi interrompesse”
“Mi dispiace”
“Non fa niente. Ora, se mi dà un minuto, faccio questa telefonata”
“Certo”

Scorro la rubrica. “Dunque… Dottor Laventola…”
“Lei si fa curare dal dottor. Laventola?”
“Sì, perché?”
“Mi ha messo a posto una zampa che mi aveva dato parecchi fastidi. Bravissimo”
“Lei si fa curare dal dottor Laventola?”
“Certo”

Deve essere per forza la botta in testa. Il telefono squilla. Risponde l’assistente del dottor Laventola. Mi mette in attesa.

“Mi scusi”
“Shh. Sono al telefono”
“Non mi ha detto come si chiama”
“Alberto”
“Alberto, posso…”
“Shh”

Dopo un paio di minuti sento il vocione del dottor Laventola che mi saluta amichevolmente. Gli spiego cosa è successo e mi tranquillizza: non morirò. Non nei prossimi giorni. 


“Non si preoccupi, è solo una botta. Passerà”
“È possibile che un colpo di questo genere possa provocare allucinazioni?”
“Direi proprio di no”
“Ecco, dottore, è qui il problema. In camera mia c’è un ragno che parla e che dice di conoscerla. Le sembra normale?”
“Come si chiama”
“Chi?”
“Il ragno”
“Beppe”
“Il ragnostico?”
“Sì”
“Ah! Me lo saluti”
“Lo conosce?”
“Certo. L’ho incontrato qualche mese fa, a un ritrovo di dubitatori esistenziali. Un tipo in gamba”
“Ci ha parlato?”
“Cinque minuti. Poi l’ho rivisto in studio, aveva un problema con la zampa. Guardi, ho un paziente in attesa. La saluto, stia bene”

Mi tocco il bernoccolo. Fa ancora male. 
“Allora? Tutto a posto?”, domanda Beppe.
“Come? Eh… sì”
“Posso chiederle un piacere?”
“Mi dica”
“Ecco, la lettura è una mia grande passione. Purtroppo non sono in grado di aprire un libro da solo. Le dispiacerebbe la sera leggermi un paio di pagine?”
“Lei vuole che io le legga un libro la sera? Sta scherzando?”
“No. Sono serissimo. Per esempio, quello lì”
“Quale?”
“Quello, sul comodino”
“Questo? Questo è il Lexotan. È un medicinale, mi serve per dormire”
“Ah. E quello? Di fianco al medicinale”
“Questo? È il mio cuscino”
“Mi scusi, non ci vedo bene. Alla mia età mi servirebbero tre paia di occhiali. Sa, l’inquilino presso il quale vivevo prima mi aveva letto tutti i romanzi di Dostoevskij. Una concezione tragica della vita che però non si risolve nel nichilismo, come con Nietzsche. L’uomo è libero, fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma non deve cedere alla tentazione superomistica di autodeterminarsi da sé, rinnegando Dio.”
“Non ho capito niente”
“Comunque può leggermi quello che vuole, davvero. Mi aiuta a prendere sonno. Adesso la saluto, devo finire di tessere la mia ragnatela. A proposito, lei conosce il significato metafisico della ragnatela?”
“Non mi pare proprio”
“Lei sa perché noi ragnostici tessiamo la nostra tela? Vede, se avessimo la fede, o fossimo sicuri che Dio esiste, non avremmo bisogno di tutte queste ragnatele.”
“Pensavo la ragnatela vi servisse per catturare le prede”
“Infatti, ma questo è ovvio. Guardi oltre”
“Dove?”
“Oltre. Lo vede?”
“No”
“Infatti. È metafisico. Il tessere è porre altro da sé, anche se chi fa da sé, fa per tre”
“Non la seguo”
“Tessere di partito. Mai prese”
“Non capisco”
“Si immagini questa cosa: la ragnatela come infinito evolversi del segno significante”

A quel punto mi alzo e gli lancio addosso una ciabatta. Spiaccicato all’istante. La metafisica mi ha sempre rotto le palle. Mi fa venire i bruciori di stomaco.

Chissà che fine fa l’anima di un ragnostico. Se ne sta lì in un limbo, né di qua, né di là, in attesa? E in attesa di cosa? Diavolo di un bernoccolo, mi fa un male cane. Sarà meglio non toccarlo.

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