Attaccati al tramburo. Questa espressione idiomatica, tipica della realtà meneghina, è meno popolare della conosciuta Attaccati al tram. Tuttavia, negli ultimi 20 secondi, ha incominciato a diffondersi con una certa rapidità.
Milano è una città nevrotica, produttiva, protesa verso il futuro, e il tram ne rappresenta l’essenza popolare: mulo da soma dei mezzi di trasporto, procede lineare e imperterrito sulle rotaie, tetragono alle distrazioni, senza dare troppo nell’occhio, sobrio, operoso, efficiente.
Il caldo afoso estivo che scioglie l’asfalto sotto i piedi e il freddo invernale che congela le ossa, lo squadrone della morte di moscerini e zanzare, i parcheggi selvaggi in seconda e terza fila, la prepotenza della metropolitana, che lo ha relegato a un ruolo di comprimario, niente è riuscito a scalfire l’ethos del tram, che ha continuato a macinare chilometri su chilometri senza mai smarrirsi d’animo.
Sì, è entrato in crisi, ma non si è fatto abbattere. Ha saputo riprendersi, ha lottato, ha scampanellato e, soprattuto, è riuscito a reinventarsi, andandosi a riprendere quel ruolo di vitale importanza che il tram ha sempre esercitato all’interno della realtà milanese.
Ed è così che nasce il tramburo, un progetto sognato, pensato, ideato, voluto e creato dall’associazione milanese degli umarell, dai suonatori di bongo del Parco Sempione e dal professor Trombetta, ordinario di Percussioni al Conservatorio di Milano nonostante il cognome.
Il Tramburo è il tram che si fa sentire, che annuncia trionfante il suo passaggio, che con potenza ma senza prepotenza scuote l’ordinario, tuona nel traffico e lascia la sua firma percussiva nel nuovo millennio.
Chi è a bordo del tramburo non è un passeggero passivo, incollato allo schermo dello smartphone, ma è una parte integrante del mezzo, che percuote e suona proprio come un tamburo, contribuendo con la sua personale ritmica all’armonia che regola l’universo, la terra e casa mia, almeno fino a quando i bambini rimangono ostaggi della scuola.
Il tramburo non si ferma alle fermate, ma fa delle pause, silenzi che si fanno musica e che scandiscono in levare il suo passaggio, fino al capolinea, la fine che diventa un nuovo inizio in un vortice infinito, avanti e indietro, il ritmo della città.
Per guidarne uno non basta fare un po’ di pratica, ma bisogna essere fini musicologi con l’orecchio assoluto, due orecchi assoluti, e se se ne hanno tre, tanto meglio. In alternativa anche la sordità può aiutare.
Anche se per alcuni il tramburo non è altro che un progetto cacofonico gestito da gente avvezza al far niente, ne viene riconosciuto universalmente il valore intrinseco. Una volta che lo avranno trovato.