La cura del tonno

Erano mesi che mi sentivo spossato. Dal giorno del mio matrimonio. Amici e genitori continuavano a ripetermi che, alla mia età, era normale essere spossati. Tutte le mattine, alle 7 e venti in punto, quando la sveglia suonava, aprivo un occhio. Il destro. L’altro, il sinistro, era prigioniero di una palpebra pigra e ottusa, che di alzarsi non ne voleva proprio sapere. Lentamente, mi tiravo su, e con movimenti lentissimi, che mi portavo dietro per tutta la giornata, mi trascinavo, con indolenza, fino al bagno.

Strano contrappasso, per un oculista, avere un occhio completamente chiuso. I miei pazienti, che pazienti lo erano per davvero, chiudevano un occhio sul fatto che io ne potessi aprire soltanto uno. Le movenze al rallentatore, invece, mi avevano reso improvvisamente popolare al corso di Tai chi che frequentavo da qualche anno. Il maestro, Liang Tian Brambilla, mi aveva fatto i complimenti e più volte, a fine allenamento, aveva cercato di apprendere i rudimenti del mio stile personale. Gli avevo spiegato, senza successo, che stavo semplicemente grattandomi la schiena. Molto lentamente.

La spossatezza. Era quello. L’essere spossati. Mio padre sosteneva che non ci fosse nulla da fare.

‘Io e tua madre siamo felicemente spossati da quasi cinquant’anni. Abituati all’idea e cerca di seguire il corso naturale delle cose’.

E io, una volta acceso il navigatore esistenziale che mi aveva condotto per questa strada, il corso naturale delle cose, in fondo a destra, lo avevo sempre seguito, eccezion fatta per quella volta che avevo tentato di librarmi in volo utilizzando solo delle piume di pavone e la forza del mio fiato, un esperimento di poco successo che il mio circolo ristretto di amici aveva bollato come un semplice afflato di scemenza.

L’essere spossati. No, devo essere onesto, mia moglie era una donna meravigliosa, bella, moderna, libera, intelligente, spiritosa. E comprensiva: non mi urlava mai per più di dieci minuti nello stesso orecchio, ma alternava, distribuendo in modo equo la sordità nei due padiglioni auricolari. Non era lei il problema. Un giorno, mentre vegetavo, spossato, sul divano, mio padre mi disse ‘Ricordati che non è vero che il matrimonio è la tomba dell’amore. Piuttosto, il contrario’. Avevo fatto tesoro delle sue parole e, nonostante non ne avessi mai capito il senso, avevo giurato a me stesso che sarebbero state il pilastro su cui avrei basato la relazione con mia moglie.

Era spossante essere spossati. Presi appuntamento con il nostro medico di famiglia, un uomo di ottantacinque anni raggrinzito dal tempo e dai troppi lavaggi a secco che, malgrado qualche lieve acciacco legato all’età, esercitava ancora un paio di ore all’anno.

‘Prego, si accomodi. Allora, mi dica.’
‘Guardi, dottore, non credo sia nulla di grave, ma’
‘Mi scusi, le dispiacerebbe parlare un po’ più forte?’
‘CERTO, MI SCUSI. DICEVO, NON PENSO SIA NULLA DI GRAVE, MA…’
‘Quale culla?’
‘MI SCUSI?’
‘Di che culla parlava?’
‘NO, NO, NESSUNA CULLA. DUNQUE, SARANNO CIRCA TRE MESI CHE’
‘Quale mano?’
‘CHE MANO?’
‘La mano con tre medi, me la può far vedere?’
‘No, guardi, ci deve essere un malinteso…’
‘Mi scusi, le dispiacerebbe parlare un po’ più forte?’
‘CI DEVE ESSERE UN MALINTESO’
‘Ah, un male interno!?’

Lasciai lo studio un’ora più tardi, senza voce, e con in mano una ricetta per un farmaco contro il colon irritabile. Non mi diedi per vinto. Vidi una dozzina di dottori. Nessuno riuscì veramente ad aiutarmi e tutti mi diedero la stessa risposta: non è obbligatorio spossarsi, ma una volta che si è spossati, bisogna prendere la cosa seriamente e cercare di affrontare la situazione.

Non erano dei medici. Erano dei surrogati di mia madre. 

‘Se lo metta bene in testa, lei è spossato. SPOS-SA-TO. Se ne faccia una ragione, prenda le cose con calma e vedrà che tempo un paio di mesi tutto si metterà a posto. E non faccia tardi questa sera, su’.

‘Quando ci si spossa, le cose cambiano. Si adatti alla nuova situazione, parli con altri che hanno avuto la stessa esperienza. Lei è venuto qui in scooter? Mi raccomando, vada piano, che se no mi fa stare in pensiero’.

‘Vede, essere spossati significa aver messo la testa a posto. E questa testa, nel posto giusto, pesa, mi segue? Lei si deve alleggerire. Alleggerisca la sua testa. E mi telefoni almeno una volta alla settimana: è così triste avere pazienti che non chiamano mai’.

Non sapevo più cosa fare. Possibile che non esistesse nessuna cura capace di alleviare il mio peso esistenziale? Tutto era curabile a questo mondo, eccetto l’imbecillità e mio zio, che da un paio di anni se ne andava in giro per la città con la convinzione di essere la reincarnazione della quinta sinfonia di Beethoven, pa pa pa paa, pa pa pa paa. Ero troppo spossato anche per disperarmi: dovevo trovare una persona che riuscisse ad aiutarmi.

E la trovai, una mattina, mentre inzuppavo chili di biscotti dentro al mio caffè latte, nascosta tra gli annunci del giornale che sfogliavo svogliatamente, scorrendo i titoli, sbadigliando, lasciando ciondolare la testa in una perfetta esecuzione di una parossistica pantomima della spossatezza:

‘Dottore A ore, contattare ore Asti.’

Ne fui come ipnotizzato. Lessi l’annuncio, lo rilessi fino a quando non lo memorizzai completamente. Il suono, quel suono. Era la teiera. Ripetei l’annuncio un paio di volte. Era ipnotico, come il mio lavoro da oculista, a me gli occhi. E gli occhiali. 

Feci il numero. Non si sentiva nulla. Dopo qualche secondo di attesa, solo un ‘Grazie per aver chiamato la segreteria teleafonica’. Controllai, era il numero sbagliato. Ci riprovai. Rispose una voce femminile.

‘Pronto, studio del dottore Amore’
‘Mi scusi, cercavo… Dottor Amore?’
‘Sì?’
‘Sul giornale diceva dottore A ore’
‘Ah, sì, sì, un refuso. Mi dica’
‘Vorrei prendere un appuntamento con il dottore’
‘Impossibile, è impegnato fino a stasera’
‘Domani?’
‘No, mi spiace, ma i giorni pari il dottore Amore riceve solo senza appuntamento’
‘Capisco. Dopodomani?’
‘Perfetto. Le va bene alle 27?’
‘Mi scusi?’
‘Dico, le va bene alle 27? Ore Asti, s’intende’

Il tempo sfugge, e questo mi sfuggiva davvero.

‘Non è che potrebbe essere più precisa?’
‘Non si preoccupi, non è l’unico. Avrà notato che Asti è come Pasti, ma senza P? Ecco, operi per sottrazione. A dopodomani, allora, arrivederci.’
‘…’

Due giorni dopo, alle sette del mattino, mi presentai allo studio del dottore. La segretaria arrivò alle otto, mi fece entrare alle otto e mezza e il dottore fece il suo ingresso alle nove. Sebbene non ci fosse nessuno, dovetti rimanermene là seduto per quasi sei ore.

‘Prego, il dottore la sta aspettando’.

Mentre esponevo i miei turbamenti, il dottore Amore corrugò più volte le sopracciglia, fece un micro sonnellino, assentì con cenni del capo e, quando mi azzittii, scarabocchiò su un foglio di carta alcuni ghirigori che mi mostrò orgoglioso. 

‘Le piacciono?’, mi domandò.
‘Beh… non saprei. Credo di sì’
‘Credo. Peccato’. Poi, si incupì e rimase assorto in chissà quali pensieri per un tempo che a me parve dilatarsi all’infinito. 
‘La cura del tonno’, asserì improvvisamente, ritornando nel mondo reale.
‘Mi scusi?’
‘Ma sì, certo, la cura del tonno, ecco di cosa ha bisogno’
‘La cura del tonno?’. Era la prima volta in vita mia che ne sentivo parlare.
‘Esatto, la cura del tonno. Mi creda, nulla di meglio per chi soffre di spossatezza. Guardi, in questi venti anni ne ho visti di casi simili al suo. Uomini e donne spossati alla ricerca disperata di aiuto. C’è chi si spossa, anche perché ci crede, e chi invece non si spossa mai: è la natura umana. Chi si è spossato senza convinzione prima o poi viene a sedersi qui, dove è seduto ora lei, e si sente dire quello che le ho appena detto. La cura del tonno. Domande?’
‘Ecco…’
‘Bene. Allora, mi ascolti bene: lei adesso esce di qui, va a comprarsi sei, sette etti di tonno che infilerà tra le lenzuola, stanotte, quando va a dormire.’
‘Scusi, mi sa che non ho afferrato bene il…’
‘Per un paio di mesi. Tutti i giorni. Mi raccomando’. Poi mi allungò la mano per congedarmi. ‘Ci sentiamo presto’.

Ero guarito. Niente più spossatezza. Di mesi ne erano passati ormai più di quattro e io mi sentivo energico, vitale, strabordante. Rinato. Chi l’avrebbe mai detto? Ero così entusiasta che decisi di prendere appuntamento con il dottore per comunicargli di persona che la sua cura aveva funzionato.

‘Pronto, studio del dottore Amore’
‘Buongiorno, vorrei prendere un appuntamento con il dottore’
‘Vediamo… Se vuole possiamo fare ieri, perché domani il dottore è occupato’
‘Dopodomani?
‘No, dopodomani riceve solo su non appuntamento’
‘Ho capito. Settimana prossima?’
‘Le va bene un giorno dispari? Verso le mezzo, mezzo e trenta?’
‘Sì, sì, certo. Può ripetermi l’ora?’

Clic.

Fu così che, la settimana dopo, un lunedì, mi presentai allo studio. Non c’era nessuno e dovetti aspettare fino a martedì per essere ricevuto. 

‘Dottore’, dissi, ‘volevo ringraziarla: finalmente non sono più spossato’
‘Ah, molto bene, molto bene’. Poi iniziò a farfugliare, prese un foglio e ci disegnò sopra un groviglio di linee.
‘Sa che cosa sono queste?’, mi domandò.
‘Non ne ho idea’, risposi, dopo aver cercato di trovare un senso in quello scarabocchio.
‘Neanche io. Neanche io’. Si azzittì per qualche secondo. ‘E mi dica, sua moglie?’
‘Mi ha lasciato. Sa, la puzza. Mica facile.’
‘Quale puzza?’
‘Quella del tonno’
‘Il tonno?’
‘Sì, quello che per quattro mesi mi sono infilato tutte le notti sotto le lenzuola. La cura del tonno, no?’
‘Il tonno? Ma è sicuro?’
‘Sicurissimo’
‘Non le avevo suggerito la cura del sonno?’
‘Dottore, no, la cura del tonno. Lei ha detto tonno. Tonno!’
‘Strano. Perché mai avrei dovuto consigliarle una cura con il tonno?’
‘Dottore, guardi, non ne ho idea, però ha funzionato’. 

ll dottore sorrise, quindi scarabocchiò qualcosa su un foglio per circa dieci minuti. Mi mostrò entusiasta il prodotto finale.

‘Sa che cos’è questo?’
‘Dottore, non lo so. La sua firma?’
‘Lei non capisce assolutamente niente ma mi creda, non è affatto una cosa negativa. Su, torni a casa, da sua moglie, e mi scriva ogni tanto’
‘Ma mia moglie mi ha lasciato’
‘Ah, be’… mi scriva lo stesso. Arrivederci’

Uscii. Un vento gelido spazzava la strada, sollevando foglie e cumuli di cartacce. Mi accesi una sigaretta e pensai a quanto era strana la vita e quanto era strano il fatto che stessi fumando visto che non avevo mai fumato in vita mia. Di chi erano le sigarette? Con questo dubbio esistenziale mi avviai, lentamente, verso casa.

Non ho più incontrato il dottor Amore. Ho sentito che se ne è andato in pensione e si dedica con passione all’allevamento di lumache da sprint.

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