Lo sfratto delle Sabine

Per capire questa storia bisogna risalire indietro nel tempo, nei secoli, quando la televisione non era ancora in alta definizione e gli uomini, invece di mettersi le creme anti rughe, si prendevano a spadate in testa.

Nell’antica Roma (che, ricordiamo, venne fondata da una fermata della metropolitana di Milano, Romolo, e da Remo, diminutivo di Sanremo, un ligure con il pallino per il canto melodico), il nome ’Sabina’ era pronunciato originariamente ‘S’abbina’. Un latino romanesco che i filologi fanno ancora fatica a decifrare.

Secondo numerosi accademici, si riferirebbe a un impulso ossessivo compulsivo di alcune donne dell’epoca nell’abbinare capi di vestiario con inutili suppellettili. Questo slancio consumistico le avrebbe portate a mantenere un tenore di vita impossibile da sostenere – sempre che il marito non fosse l’amministratore delegato dell’Impero romano.

Molte di loro si ritrovarono ben presto ridotte in condizione di miseria, sole, nei loro appartamenti con vista sul Colosseo e sauna privata, con un pezzo di pane in mano appaiato a una borsetta molto chic, a farsi domande sul senso delle vita. Perché esiste qualcosa piuttosto che nulla? Possibile che ogni volta che faccio la permanente venga a piovere? Ma quanto parla Cicerone? Domande a cui il locatore, inviando la notifica di sfratto, rimaneva il più delle volte insensibile.

Una follia di massa che presto rammollì l’Impero romano, rendendolo terreno fertile per l’invasione, secoli dopo, degli stilisti.