I denti

Noi diamo per scontato un sacco di cose. Nasciamo nel nostro Occidente opulento e progressista e pensiamo che il mondo sia sempre stato come lo vediamo, con le macchine di lusso parcheggiate in seconda fila, la televisione ad alta definizione e le camicie su misura. Non è così.

Oggi voglio raccontarvi di una di quelle invenzioni che ha trasformato in maniera radicale il modo di esperire quello che ci circonda. E anche la digestione.

Sto parlando dei denti. Sì, proprio quelli che i vostri figli non vogliono mai lavarsi perché non sanno ancora cosa significa una vita priva di incisivi, canini e molari. Come mi diceva sempre la mia bis nonna, che aveva vissuto i suoi ultimi anni in compagnia di una sola, unica stalagmite che si stagliava con fierezza all’interno della sua cavità orale, “Non molare mai”.

Se spostiamo le lancette dell’orologio indietro di duecentomila anni circa, e dobbiamo farlo molto velocemente (l’ingegnere Tavullo dice che per un’operazione così ci vogliono altri duecentomila anni, fine settimana esclusi) vediamo una grotta, illuminata da una flebile fiamma. Una grotta dignitosa, in una zona semicentrale, seimila euro al metro quadro.

Dentro la grotta c’è una famiglia, i Brembilla. Padre Brembilla, madre Brembilla, tre figli Brembilla e due figlie Brembilla. Tutti con la barba, in ossequio alla moda del Paleolitico inferiore. Se ne stanno con la bocca spalancata, lo sguardo vagamente ottuso, a fissare la parete, un istinto naturale che porterà più avanti all’invenzione della televisione.

Le loro bocche sono prive di denti. Un problema non da poco, per gli uomini di allora, che impediva di pronunciare la britannica th e masticare carne di mammut in salsa di barbecue. Nessuna speranza per la famiglia Brembilla ma, un paio di secoli dopo, un ominide di cui non conosciamo né il nome né il cognome ma solo la professione, dentista, inventò i denti.

Messo davanti all’inutilità di cinque anni di studio più specializzazione, il nostro ominide decise che doveva inventarsi qualcosa se non voleva fare la fine di suo padre, medico specializzato in geriatria perché “è la specializzazione del futuro” e niente, neanche un cliente in quindici anni.

Così nascono i denti, che più che un’invenzione, sono una scoperta. Il nostro ominide, che chiameremo Franco, si era accorto un pomeriggio che la sua bella, a cui stava amorevolmente togliendo le pulci, aveva delle gengive enormi che la facevano assomigliare più a un tender che a una signorina da portare sull’altare. Per il sacrificio.

Come quelli che hanno la moglie incinta e vedono donne incinta ovunque, poi si accorgono che quello è il divano con un paio di cuscini, Franco iniziò a notare che tutti quelli intorno a lui avevano delle gengive enormi. Erano brutti forti. Toccandole con le mani, realizzò che anche lui aveva delle gengive enormi. Tutti avevano delle gengive enormi.

Che affronto per l’arte, la bellezza, l’estetica in senso lato e per Mimmo, un ominide napoletano di stampo platonico che gongolava all’idea di pizza anche se non ne aveva mai assaggiata una.

Franco, che aveva un cervello snello, agile, con le sinapsi che si muovevano velocemente, ghepardi cerebrali, ci pensò, una notte, due notti, ci pensò per un mese, il mese divenne un anno e finalmente capì.

Quel popò di gengive dovevano nascondere qualcosa. Un segreto. Un tesoro. I numeri dell’estrazione del lotto. Non era un caso che lui, dentista, sapesse destreggiarsi con le estrazioni. Doveva essere tutto collegato.

Una mattina prese un bisturi di precisione, che ancora non si sa da dove fosse arrivato, praticò delle incisioni sulla sua gengiva superiore e sentì qualcosa. Un male pazzesco. Imbottito di ibuprofene, riuscì a toccare per la prima volta nella storia un paio di denti. Erano duri come i soufflé di sua moglie ma sicuramente più buoni.

Pazzo di gioia, si costruì subito un apparecchio, perché i due incisivi centrali superiori erano distanziati l’uno dall’altro, rendendogli l’espressione decisamente ebete.

La notizia si diffuse velocemente, grazie al tam-tam dei social preistorici, rozzi ma efficaci, e di lì a poco fu un tripudio di denti, gente che andava in giro a mostrare fiera la mercanzia, rosicare tronchi di albero e ridere sguaiatamente a qualsiasi scemata giusto per il gusto di esibire la dentatura.

La scoperta dei denti ebbe un impatto forte sulla società, perché non solo favorì la nascita delle lingue e un’alimentazione più sana, ma permise agli abitanti della penisola italiana di dare un nome alla cottura che è alla base della dieta mediterranea, la cottura al dente.

Avere i denti era una cosa meravigliosa, un’aggiunta che completava perfettamente l’essere umano, insieme al deodorante e al borsellino da uomo. Tuttavia, sarebbe da frivoli soffermarsi solo sui lati positivi. Da storico, studioso e sommelier di bevande gassose non posso non affrontare, in tutta franchezza, il rovescio della medaglia.

Mantenere i denti è costoso. Bisogna acquistare spazzolini, dentifrici, fare la pulizia dei denti due volte all’anno, le visite, robe da classe media. I poveri, almeno all’inizio, dovettero farne a meno o condividere la dentiera della nonna o del nonno. E poi dicono che la share economy è un’invenzione moderna.

E il problema della vecchiaia. Con l’età, i denti tendono a cadere. Uno alla volta. Due alla volta. Fino a quando si raggiunge lo stato della mia bis nonna, un deserto in cui se si è fortunati si rimane con un solo esemplare femmina (che hanno una vita più lunga rispetto ai maschi) che, da sola, riesce a macinare anche i sassi. Efficace ma poco elegante e pratico.

Nonostante le difficoltà, i denti hanno avuto un successo incredibile, che ha reso Franco, il nostro dentista, l’ominide più famoso del paleolitico e l’unico con villa in Sardegna e SUV che consuma due litri solo all’accensione.

A oggi non si riscontrano casi di persone, nel globo, che nascano senza una dentatura degna di questo nome. Tranne i neonati.