L’invenzione la si deve a un farmacista, di cui ignoriamo il nome, il cognome e il codice fiscale, senza il quale ve lo sognate, cari miei, un eventuale rimborso tasse.
Siamo nel 1918, in Francia, che anche allora si chiamava Francia per una questione di marketing. La Prima guerra mondiale non è ancora finita, c’è frastuono di spari, bombe e schiaffi del soldato che tengono alto il morale delle truppe. Alle cinque e mezza entra un cliente, rosso in viso, trafelato che, avvicinatosi al bancone, si lascia andare a un pianto a dirotto interrotto da risate isteriche.
Il farmacista, di cui ignoriamo il nome, il cognome e il codice fiscale, è un uomo paziente, ma fino a un certo punto. Fa un cenno con la mano a uno sgherro, che se ne sta sempre fuori dalla farmacia a rollare sigarette e a mangiarsi le unghie, non sue. Il tizio entra, prende di peso il cliente e lo infila sopra un carro diretto al più vicino ospedale psichiatrico. Lì imparerà che la sociopatia è un ottimo punto di partenza per avere successo nel mondo della finanza.
Passano pochi minuti ed ecco arrivare un altro cliente, un uomo calvo senza sopracciglia che avanza con la schiena dritta, dignitoso, fischiettando un motivetto simpatico dalle orecchie. Forse Il pulcino Pio. Il numero circense attira l’attenzione del farmacista e dello sgherro, già pronto a caricarne un altro sul carro, andata senza ritorno.
L’uomo calvo, Jean-Philippe, con l’accento sulla c, chiama il farmacista senza saperne il nome, il cognome e il codice fiscale, ma chiamandolo così, come si chiamerebbe qualcuno che non si conosce. Il farmacista risponde alla chiamata, perché è un uomo paziente, ma non troppo, ma prima che possa fare un cenno allo sgherro, Jean-Philippe, con l’accento sulla c, gli blocca la mano e gli racconta la sua storia.
“Sono tre giorni che non dormo”
“Tre?”
“No, quattro”
“Quattro?”
“Cinque”
Ci vuole un po’ prima che si mettano d’accordo.
“E come mai, se posso domandare?”
“Sono le lumache”
“Le lumache?”
“Sì, le lumache. Le sento di notte, che si spostano. Fanno un gran baccano”
“Capisco”
“Dottore, lei mi deve aiutare?”
“Non sono dottore. Sono farmacista”
“Dottore, mi aiuti, la prego. La scongiuro. La imploro. Ma i capelli che ha in testa sono tutti suoi?”
Il farmacista, di cui ignoriamo il nome, il cognome e il codice fiscale, si commuove. Fa entrare lo sgherro, che accompagna Jean-Philippe, con l’accento sulla c, direttamente sul carro, poi chiude la farmacia, sale al piano di sopra, dove abita, e ci rimane per una settimana.
Ne esce un sabato mattina, entusiasta, con due rotoli della carta igienica infilati nei padiglioni auricolari. Purtroppo, sente tutto amplificato e per il disappunto non mangia baguette per due giorni. Parbleu! Mentre dorme, ha un’intuizione. Il futuro è digitale. Geniale, ma troppo avanti coi tempi.
Si sveglia e, come il Buddha ungarettiano, si illumina d’incenso. Prende una candela e fa colare la cera dentro le orecchie, che poi sigilla con del cotone. Non sente più nulla, nemmeno quando una granata centra la tazza del cesso, creando dell’imbarazzo.
Tale è la sua eccitazione che, alle prima ore del mattino, decide di andare a trovare Jean-Philippe, con l’accento sulla c, per mostrargli la sua invenzione. Non lo troverà mai, ma questo non impedirà al farmacista, di cui ignoriamo il nome, il cognome e il codice fiscale, di commercializzare il suo prodotto e diventare uno degli uomini più ricchi del mondo. Alla sua morte il patrimonio sarà equamente diviso tra gli acari del suo tappeto persiano preferito.
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