Il divano

Quante scoperte e invenzioni ci sono state nel mondo? Ho provato a contarle, e mi sono accorto di non avere abbastanza dita nelle mani. Così, ci ho aggiunto quelle dei piedi, e quando ho realizzato che non bastavano nemmeno quelle, ho pensato alle dita dell’edicolante. Appena, però, gli ho preso la mano, ha usato l’altra per colpirmi sulla testa con un giornale.

Allora, quante sono? Tante, tantissime ma, come dice il Patruno, il mio fruttivendolo di fiducia che mi ha aiutato in questa ricerca, una delle invenzioni più importanti per l’umanità, se non la più importante, è stata quella del divano.

Secondo una recente statistica condotta dall’Istituto di Igiene Mentale, il novanta per cento degli uomini (incluse le donne coi baffi), una volta sdraiatisi su un divano, ci trascorrono un terzo della loro vita. Il restante dieci per cento non ne ha ancora acquistato uno perché sta aspettando una delle imperdibili offerte di Poltrone e Sofà, artigiani della qualità.

Che cosa sarebbe il mondo senza il divano? Un mondo senza psicoterapeuti? Il filosofo epistemologico Dave Mountainroses, con un classico argomento controfattuale, ha provato a immaginare un mondo privato di un arredo così fondamentale. Tramite sillogismi e ragionamenti illogici complessi che, per la natura divulgativa di questo post, evito di elencare, il Mountainroses ha dimostrato le conseguenze apocalittiche che ne sarebbero derivate, con il risultato di lasciare su questo mondo un unico sopravvissuto, Nicolino detto l’Orzaiolo, che a causa delle emorroidi non si siede dal lontano 1963.

La parola divano deriva da dīwān, che nella lingua persiana, quella dei gatti, significa Sdraiati, prenditi birra, telecomando e rimani in questa posizione fino a quando non senti l’esigenza di nutrirti. Gli antichi egizi pare avessero qualcosa di simile, ma poiché se ne stavano sempre di lato, non riuscivano a trarne gran beneficio; i romani avevano il triclinio, che utilizzavano per mangiare sdraiati e giocare alla playstation; i sufi ci giravano intorno fino a quando qualcuno non staccava la musica, e quello che non trovava posto veniva spedito in Italia a vendere le prugne all’ortomercato.

L’uso moderno del divano, però, lo si deve ai francesi, che da diverso tempo stavano cercando di togliersi di dosso quel senso di inferiorità che provavano nel confronto dei cugini italiani, assurti a custodi della civiltà per aver donato al mondo il bidet.

Fu sotto Luigi XVI nella classifica ATP dei regnanti che il divano divenne rappresentazione dell’uomo di potere bianco, ricco e con la puzza sotto il naso a causa delle continue porzioni di Roquefort che venivano servite a corte. Il divano rimaneva ancora appannaggio di pochi e questa cosa creava del subbuglio nel popolo, che non aveva da mangiare né dove sedersi per guardare le partite di pallamano e del Paris Saint Germain.

Fu così che scoppiò la Rivoluzione, capeggiata da Robespierre, Tartufon e Ivano, che al grido di Sul divano dell’Ivano c’è un alpino con un pino conquistarono la Bastiglia e decapitarono il povero Luigi. Negli anni successivi il re continuò a lamentarsi del fatto che il nuovo taglio poco si abbinasse ai vestiti che indossava.

Il divano venne industrializzato e iniziò così il suo periodo aureo. Inizialmente le persone ci si sedevano sopra ma non sapevano esattamente come comportarsi. Qualcuno provava a rompere il ghiaccio parlando del tempo, ma non tutti, in famiglia, apprezzavano queste cose. Si narra di risse furibonde scoppiate proprio sul divano per una parola di troppo o sul diritto o meno di sdraircisi sopra con tutto il corpo.

Fortunatamente arrivò il giorno del telecomando. Sì, perché è stato il telecomando, e non la televisione, a trasformare un indispensabile pezzo di arredamento nell’estensione del didietro di centinaia di milioni di sfaccendati. Infatti la televisione, fino a quando bisognava ancora cambiare i canali schiacciando i tasti posti sull’apparecchio, era un serbatoio di rancore e nervosismo, perché il primo che si alzava per andare a cambiare canale perdeva di diritto il posto sul divano, che veniva così barattato tra coloro che ancora se ne stavano seduti. Il reietto veniva relegato nello sgabuzzino dell’appartamento e poteva solo avvicinarsi per portare bibite e leccornie varie.

Il telecomando cambiò tutto, uccidendo anche gli unici momenti di svago fisico che i dottori ritenevano indispensabili per evitare di trasformarsi in un cuscino di velluto.

Oggi, quasi tutti possiedono un divano, anche chi non ha una casa. I pochi che ne fanno a meno sono i filosofi cinici che, fedeli solo al loro rigore morale, preferiscono sedersi su delle scomodissime sedie di design acquistate al salone del mobile di Milano.