“Papà, chi ha inventato il telefono?”. L’ho guardato così come si guarda qualcuno più basso di te di almeno settanta centimetri, dall’alto al basso, con quel giusto di tracotanza.
“Scusami, nano da giardino, mi sa che ti sbagli, non ho figli e non intendo averli. Non mi sono mai assunto nessuna responsabilità nella mia vita. L’unica volta che ci ho provato è stato nel 1997, quando mi sono preso cura di un tamagotchi che mi è morto tra le mani dopo due giorni di stenti. Adesso vai a rompere i coglioni a qualcun altro”.
Il bambino mi ha mostrato il dito medio e poi è corso a molestare i suoi veri genitori.
La domanda mi è frullata nella testa da quel giorno e mi è sembrato giusto dedicarle qui uno spazio, soprattutto per demistificare alcune leggende che si tramandano ormai da troppo tempo.
Non è vero che il telefono è stato inventato da Antonio Meucci, a cui si deve il famoso motto Meucci Ucci, sento odor di Dior e Gucci, che ha terrorizzato intere generazioni di uomini con mogli moda dipendenti.
E non è vero nemmeno che l’inventore è stato Jingle Bell, passato alla storia invece per aver creato una delle canzoni natalizie di maggior successo.
Il dispositivo, che ha rivoluzionato il settore delle telecomunicazioni, è opera di una compagnia telefonica nata in Svizzera nel 1870.
Questa azienda, che si chiamava Telefonduta, era stata fondata da un pubblicitario milanese, Ambrogio Milanese, che amava creare giochi di parole senza nessuno sbocco pratico. Un giorno, mentre osservava i vicini che si insultavano urlando dai rispettivi balconi, ebbe un’idea geniale: perché non creare uno strumento che possa permettere ai vicini di insultarsi comodamente dal proprio divano?
Si consultò con il suo ingegnere di fiducia, Evaristo Esse, con due esse, un uomo di successo che si era fatto da solo seguendo le istruzioni al corso di ingegneria meccanica, e in pochi mesi l’invenzione era lì, adagiata sopra la sua scrivania.
C’è da dire che all’inizio il telefono non sembrava un telefono ma un qualcosa di simile a una banana. Prima di comunicare al mondo la grande invenzione, dovettero sbucciarla e lavorare un po’ sul design.
Finalmente, dopo settimane di fatiche e tribolazioni, riuscirono a creare un telefono che assomigliava a un telefono, con la cornetta e il disco combinatore. Ambrogio inserì la presa nella corrente, attivò la linea e il telefono iniziò a squillare.
“Drin, drin. Drin, drin”
Il pubblicitario sembrava piuttosto sorpreso. E infastidito. “Chi chiama all’ora di pranzo?”. Evaristo Esse lo invitò ad alzare la cornetta e a rispondere. “Dottore, è un momento storico, la prego”.
“Pronto?”
Era una compagnia telefonica che voleva sapere se il dottor Ambrogio Milanese era interessato a cambiare piano per passare a chiamate e messaggi illimitati, dati illimitati in Svizzera e 5 giga al mese di dati all’estero.
“Be’, funziona”, esclamò entusiasta l’imprenditore. Appena mise giù ricevette altre tre telefonate, tutte di assicuratori che volevano vendergli, in successione, una polizza vita, un’assicurazione sanitaria e un’assicurazione auto (per cui è ormai assodato che è nata prima l’assicurazione auto dell’auto).
Il telefono ebbe un successo planetario che però non rese ricco il suo inventore, che si era dimenticato di brevettarlo. Ambrogio Milanese si ritirò a vita privata e scrisse un numero spropositato di inutili giochi di parole, tra i quali ricordiamo il personaggio del mafioso maleducato (Al Cafone), Il gioco a premi per boscaioli e piccoli guerrieri (L’ascia o raddoppia) e la storia triste su un gruppo di alcolisti anonimi (Il calice piangente).