Parecchi miliardi di anni dopo il Big Bang, la vita appariva ancora piuttosto monotona. Gli scienziati hanno confermato che i batteri unicellulari erano sprovvisti del senso dell’umorismo e le alghe azzurre non erano particolarmente loquaci.
Non che le cose andassero meglio con i primi ominidi: dotati di un vocabolario davvero limitato, risultavano invitati poco graditi a feste, matrimoni e compleanni. All’interno delle loro caverne, buie e arredate in stile shabby chic, non è che ci fosse molto da fare; così, passavano il tempo procacciandosi il cibo, menando clavate a destra e a manca o finendo nello stomaco di qualche predatore dai denti affilati.
Il vero problema vero erano i lunedì mattina. Alle sette in punto l’ominide maschio, che non era né un bel vedere né un bel sentire, si alzava e ciondolava fino in cucina dove, in stato catatonico, rimaneva seduto davanti a una tazza di caffè annacquato, la bocca spalancata, i peli arruffati, a fissare il tavolo.
Non avendo un vero e proprio vocabolario, e nemmeno una vera e propria lingua, il tavolo non si chiamava tavolo e perciò l’ominide maschio non sapeva nemmeno che cosa stesse fissando. Un inizio poco brillante. Sentiva che mancava qualcosa, nella sua vita, ma non riusciva a definirlo.
Nella sua mente, ancora primitiva e rozza, appariva come rosa e cartaceo. Il Neanderthal, che aveva un certo fiuto per gli affari e sapeva ascoltare, pensò che fosse la carta per salumi e così avviò un’attività che lo tenne occupato per un po’, ma che conobbe il successo commerciale parecchi millenni dopo, quando il panino alla mortadella entrò di diritto nella Costituzione italiana.
I secoli passavano, ma la situazione del maschio alfa, che con il trascorrere del tempo iniziava a perdere tutto quel pelo superfluo, a spazzolarsi i denti e a impomatarsi i capelli, sembrava non progredisse alla velocità aspettata. La mattina ciondolava ancora in stato catatonico verso la cucina, e vagava per tutta la giornata senza una meta, adempiendo ai suoi doveri ma non riuscendo a trovare un posto al centro del mondo.
Colpa anche di di Copernico che aveva relegato la Terra in un angolo dell’Universo, costringendo il maschio medio italico a subire un’umiliazione che avrebbe dimenticato solo nel 1982, con la vittoria ai mondiali contro la Germania.
Finalmente, nel 1896, dopo secoli di oscurantismo, guerre, pestilenze e pasta scotta, la svolta. Il passaggio dall’epoca antica a quella moderna che anticipò, e forse permise, la conquista della Luna. Eugenio Camillo Costamagna ed Eliso Rivera, due piemontesi che si erano trasferiti a Milano attirati dalla possibilità di godersi un ottimo aperitivo cenante senza dover spendere una fortuna, pubblicano la Gazzetta dello Sport.
Pensano di dare alla luce il primo quotidiano sportivo italiano, e invece stanno creando l’uomo medio italiano, plasmato a immagine e somiglianza delle pagine del giornale. Il senso della vita, se ci si accontenta, è tra le linee e le interlinee dei caratteri tipografici.
È l’alba di un nuovo mondo, di un nuovo uomo e di un nuovo Dio. I lunedì mattina non sono più visti come un principio di apocalisse dove le coscienze sono inghiottite dal buco nero della settimana, ma come un momento religioso in cui milioni di adepti leggono, imparano e fanno proprie le parole della Bibbia dello sport per poi divulgarne la favella nei bar, a tavola in famiglia, in ufficio davanti alla macchinetta del caffè, una discussione lunga il tempo di una settimana, un moto perpetuo destinato a ripetersi uguale a se stesso fino a quando il sole esploderà, rendendo del tutto inutile le creme solari con protezione cinquanta.
Ora che i tempi sono cambiati, e c’è la versione online, solo la gestualità è differente. Il rito, quello rimane uguale, come ben ha evidenziato il teologo tedesco Karl Wilhelm Pulvirenti nel suo saggio “Dio è sempre in fuorigioco”.
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