Le tasche dei pantaloni

L’invenzione delle tasche dei pantaloni è una di quelle cose a cui non si pensa spesso, e a torto. Una società che non riflette sul concetto di progresso e non dedica abbastanza tempo a onorare le grandi menti che hanno sfruttato al meglio il pollice opponibile è una società destinata a regredire a uno stato di organizzazione primitiva gestita da microbi e batteri che, in fatto di gusti culinari e interessi culturali, lasciano piuttosto a desiderare.

Fino al 1600, chi voleva infilarsi le mani in tasca e andare in giro fischiettando doveva sedersi e aspettare con pazienza che questa invenzione venisse commercializzata. Si narra di stole di uomini che, tra il Settecento e il Milleduecento, camminavano senza una meta, con queste mani attaccate ai polsi che puntavano verso un luogo utopico che avrebbe cambiato il destino dell’umanità. Se le vostre aspettative non sono molto elevate.

Il primo essere vivente a cui venne in mente di andarsene in giro con una tasca fu un canguro dell’Australia. Lo riteneva il posto ideale per metterci dentro il cellulare. Quando scoprì che, del telefono, non poteva poi farci un granché, lo sostituì con la prole. Una prole piuttosto pigra che prese l’abitudine di viverci dentro fino ai trent’anni. Bamboccioni australiani.

I primi pantaloni con un paio di tasche appaiono per le strade di Milano nel 1630, in piena epidemia di peste, sulle gambe di Ambrogio Fumagalli, un energumeno di due metri conosciuto in città come animatore di serate latinoamericane. Le tasche, però, non erano ancora come le conosciamo adesso, ma solamente due piccole fessure poste in fondo alla gamba, all’altezza della caviglia. Servivano per infilarci le zigulì o delle sogliole impanate.

Bisognerà attendere la fine del Seicento per veder sfilare un paio di pantaloni con delle tasche dove finalmente infilare le mani per grattarsi gli zebedei. L’inventore è una donna, Simonetta Fumagalli, nipote dell’Ambrogio, che lo ritenne l’unico sistema per limitare l’eccessivo gesticolare degli italiani.

L’astrofisico inglese Thomas R., il cui cognome è stato accorciato durante un esperimento al CERN di Ginevra, ha dichiarato che le tasche dei pantaloni hanno alcune proprietà che le rendono simili ai buchi neri: si registrano milioni di casi di monetine e chiavi di casa che, una volta entrate lì dentro, sono scomparse senza lasciare alcuna traccia.